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San Paolo, parla Longhi: “Dirigenza inesistente”

L’avventura di Damiano Longhi sulla panchina dell’Atletico San Paolo si è conclusa domenica, dopo il 3-4 interno contro la Virtus Castelfranco, e con soli 15 punti raccolti in 20 gare. Se n’è andato, esonerato dal presidente Giuseppe...

Redazione PadovaSport.TV

L’avventura di Damiano Longhi sulla panchina dell’Atletico San Paolo si è conclusa domenica, dopo il 3-4 interno contro la Virtus Castelfranco, e con soli 15 punti raccolti in 20 gare. Se n’è andato, esonerato dal presidente Giuseppe Tramonti, lasciando la squadra all’ultimo posto in classifica, nel girone D della serie D, e con enormi problemi, interni ed esterni. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, però, potrebbe non essere stata solo la sconfitta. Longhi deve aver pagato anche gli attriti con alcuni big dello spogliatoio come Davide Matteini, che si è rifiutato di andare in panchina accomodandosi in tribuna. «Macchè, Matteini non è stato un problema con me, e nemmeno l’ago della bilancia», chiarisce Longhi a poche ore dall’esonero. «Avrebbe potuto esserlo per le qualità che ha, e spero che lo sia d’ora in avanti. Tra di noi non c’è mai stata alcuna guerra. Il pretesto è stata una partita che abbiamo perso in casa, e magari le ultime tre: sfido chiunque, con sei giovani in campo e nessuna prima punta, a non andare in difficoltà». Il suo stato d’animo? «Sono tranquillo, perché ho la coscienza a posto. L’estate scorsa ho sposato un progetto, che ad oggi non si è ancora sviluppato. La dirigenza doveva essere provvisoria, invece si è protratta fino ad ora e, proprio perché semplice traghettatrice, per lunghi tratti della stagione è stata inesistente. Penso che il presidente Tramonti, che abbiamo visto due volte al campo in questi mesi, avesse già deciso da un po’ di cacciarmi, ma aspettasse solo l’occasione buona. Dati alla mano, però, c’è poco da pretendere». Ritiene che la squadra affidatale non fosse all’altezza? «Ora come ora le servono almeno tre giocatori: due attaccanti e un centrocampista. Non avevamo ricambi d’esperienza, tanti giovani bravi ma pochi elementi esperti. E abbiamo aspettato per tre mesi una punta centrale, mai arrivata». Pensa di aver avuto responsabilità negli addii di Dall’Acqua e Sedivec? «Hanno deciso da soli di andarsene, ciò che non mi va giù è che in entrambi i casi io sia stato sempre tenuto all'oscuro di quanto accadeva. Alla vigilia di una partita dissi a Dall’Acqua che pretendevo di più: lui mi garantì che l’avrebbe fatto, e due giorni dopo m’informarono che era già d’accordo con un’altra squadra. Idem per Sedivec: lo feci giocare senza sapere che aveva la valigia in mano. In tutto questo marasma, in società c’è stata poca collaborazione. Nessuno, per dire, mi ha ancora avvisato che Pittarello è stato dato al Padova». Lei che errori si imputa? «Ho iniziato con un modulo che reputavo equilibrato, portandolo avanti forse per qualche partita di troppo, perché alla fine la realtà è che non avevo i giocatori adatti. Responsabilità tecniche ci sono e sono mie, ma se non altro ci ho messo la faccia sin dall’inizio, anche responsabilità che non avrei dovuto prendere. E mi permetta di dire una cosa...». Prego. «Ci tenevo anche a sottolineare come mio figlio Alessio, pure a volte non a suo agio, abbia dimostrato professionalità, educazione e rispetto. Qualcuno dovrebbe riflettere su come comportarsi: alcuni sono andati oltre il limite alcune volte, invece il figlio dell’allenatore è sempre stato al suo posto». Com’è stato l’ultimo mese? «Annunciato il passaggio di proprietà, abbiamo atteso novità, tra stipendi e mercato.Non c’è stata trasparenza, alcuni giocatori contattati leggevano i giornali e non si fidavano a venire qui. A Barbin credo ancora, ma se non si muove nulla entro gennaio, la vedo dura...