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Árpád Weisz non ha mai giocato nel Padova

Anni Venti: Arpad a sinistra, Dionisio a destra.

27 gennaio, giornata della memoria. Una data in cui ogni anno milioni di calciofili italiani volgono la mente alla tragica storia di Árpád Weisz, celebre allenatore ungherese di religione ebraica morto di stenti ad Auschwitz il 31 gennaio 1944....

Alessandro Vinci

27 gennaio, giornata della memoria. Una data in cui ogni anno milioni di calciofili italiani volgono la mente alla tragica storia di Árpád Weisz, celebre allenatore ungherese di religione ebraica morto di stenti ad Auschwitz il 31 gennaio 1944.

Di lui hanno parlato in tanti; gli sono stati dedicati libri, speciali televisivi, articoli, reportage e quant'altro. Atto doveroso verso un uomo capace di laurearsi per ben tre volte campione d'Italia nel corso della sua breve carriera in panchina: uno scudetto alla guida dell'Inter (stagione '29-'30), due al timone del Bologna (stagioni '35-'36 e '36-'37).

Ma prima che ottimo allenatore, Weisz fu anche discreto calciatore. Ed è qui che giungiamo al nodo della questione: quella che è ormai definibile come “la storiografia ufficiale” sostiene che l'ungherese abbia giocato anche nel Padova. Sì, proprio nel Padova, nella stagione 1924-1925, totalizzando sei presenze ed una rete. Lo scrive Matteo Marani nel suo “Dallo scudetto ad Auschwitz”, lo dice Federico Buffa nel famoso documentario SKY, lo riporta Wikipedia e lo narrano puntualmente ogni anno giornali e siti web. Sbagliano.

L'ungherese Árpád Weisz, nato a Solt nel 1896, viene infatti da tutti confuso con un suo omonimo: Dionisio Weisz, attaccante rumeno classe 1904. Lui sì che giocò al Padova nel '24-'25. Lui sì che mise a segno una rete in sei presenze complessive. La prova? Il minuziosissimo elenco dei giocatori biancoscudati presente in “Quartostadio”, la “Bibbia” della storia del Calcio Padova, opera in due volumi realizzata nel 1992 da Fantino Cocco e Paolo Donà. Secondo tomo, pagina 314: oltre a Dionisio non figurano altri Weisz. Prima di lui, in ordine alfabetico, Carlo Vomiero. A seguirlo, invece, Mario Wilfling.

Ed il fatto che siamo di fronte ad un vero e proprio scambio di persona, oltre alle ricerche d'archivio, lo provano anche le immagini: il volto magro e scavato di Dionisio, immortalato prima di Padova-Andrea Doria del 19 ottobre 1924 (gara d'inaugurazione dell'Appiani), è facilmente distinguibile da quello tondo e paffuto di Árpád.

Ad onor di cronaca, comunque, a svelare l'errore ci ha già pensato qualcuno: trattasi della giornalista Cristina Chinello, che nel 2013 scrisse sulle pagine del Mattino di Padova: «Weisz è figlio di due ebrei ungheresi, prima giocatore di alto livello (veste la maglia dell’Ungheria anche alle Olimpiadi del 1924, e come calciatore semi-professionista tra Ungheria, Cecoslovacchia, Italia e Uruguay) e poi allenatore. Alcuni lo confondono anche con Dionisio Weisz che, rumeno, giocò nel Padova all’incirca nella metà degli anni Venti».

Insomma, gli elementi per affermare fino a prova contraria – come Popper insegna – che Árpád Weisz non ha mai vestito la maglia del Padova sembrano esserci tutti.

Un legame degli ex calciatori biancoscudati con i campi di concentramento, comunque, è ugualmente rintracciabile. Ma in questo caso, per fortuna, la storia ha un lieto fine: ci riferiamo alle rocambolesche vicende vissute durante la guerra da Enzo Romano, portiere con 152 presenze all'attivo tra il '46 ed il '53.

Questo quanto raccontato dal diretto interessato a Pino Lazzaro per il libro “Nella Fossa dei Leoni”: «Sono andato in Africa, in guerra. Ero tra quelli che in Tunisia si sono arresi a Capo Bon, io sono capitato con gli inglesi. Due anni in prigione, due anni in campo di concentramento, è lì che ho imparato il mestiere di elettromeccanico. Noi si giocava, mi hanno visto e così, dai e dai, ogni mercoledì e sabato gli inglesi venivano a prendermi: avevano una squadra di calcio, ero l'unico tra i prigionieri che giocava con loro. […] C'era un capitano inglese che mi vide giocare, parlava benissimo l'italiano: mi chiese dell'Italia, da quanto tempo non avevo notizie di casa, se mi sarebbe piaciuto tornare! Erano due anni che non sapevo niente di niente e così è andata a finire che un bel giorno, lì nel campo di concentramento, mi chiamano: dovevo prepararmi a tornare in Italia! Mi hanno imbarcato e sono sbarcato a Portici».