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OLTRE i 90′ | MaradonAppiani

OLTRE i 90′ | MaradonAppiani

A spasso tra i ricordi di un giovane tifoso degli anni '90

Giacomo Stecca

Canzone consigliata prima della lettura: La vida tombola-Manu Chao

“Dio è morto”. Cosi recitava la prima pagina dell’Equipe il 26 Novembre di quest’annus horribilis.

Purtroppo il quotidiano francese non faceva riferimento al titolo di una canzone del cantautore italiano Francesco Guccini o alla celebre frase pronunciata dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, ma era l’ultimo saluto, forse un po’ blasfemo, della testata giornalistica d’oltralpe al dio del calcio: Diego Armando Maradona.

Il Pibe De Oro aveva difatti esalato il suo ultimo respiro il giorno prima nella sua casa di Tigre stroncato da un’insufficienza cardiaca acuta.

Qualche settimana addietro, Maradona era ricoverato nella clinica Ipensa di La Plata dove era stato operato al cervello per rimuovere un edema e anche se nulla faceva presagire un epilogo così terribile, mercoledì 25 alle ore 16 italiane (12 in Argentina) la notizia della sua morte cominciò a circolare dapprima sul web e poi nei programmi televisivi di tutto il globo.

E proprio da un programma televisivo, targato RAI, appresi questa triste notizia.

La stessa RAI che più di ventisei anni fa, il 21 giugno del 1994, trasmise il suo ultimo goal con la nazionale albiceleste. La rete del 3 a 0 contro la Grecia nel match del girone D del mondiale americano.

Quella fu la penultima partita di Maradona con la camiseta dell’Argentina, perchè al termine di quella successiva fu squalificato definitivamente per doping.

La cosa buffa è che la sua ultima marcatura in un mondiale coincide con la prima immagine che io ho di lui.

Ricordo con nitidezza quel fraseggio al limite dell’area greca tra lui, Fernando Redondo e Claudio Caniggia, quel tiro potente del numero dieci argentino imprendibile per il portiere ellenico e quella corsa verso la telecamera con quell’urlo, iconico quanto quello di Munch, rimasto impresso per sempre nella storia del calcio e non solo.

Chiesi a mio nonno, il quale stava guardando l’incontro con me, chi fosse quell’uomo e lui mi rispose sorridendo: “Il più grande di tutti”.

Purtroppo quella fu l’unica sua partita vista in diretta dal sottoscritto, ma affascinato da quel giocatore incredibilmente forte, nonostante fosse sul viale del tramonto calcistico, mi munii di pazienza e grazie alle mitiche videocassette “Logos TV” riuscii  col tempo a ammirare tutto il suo repertorio, tutto quello che era riuscito a fare nei campi di calcio in giro per il mondo. Me ne innamorai.

Un’altra cosa che mi fece innamorare di lui, oltre alle sue giocate funamboliche, fu il rispetto misto ad ammirazione, esibito negli anni, da tutti i suoi avversari.

Non ne ho mai sentito uno parlare male di Diego.

E anche il giorno della sua scomparsa, tramite le parole dei compagni di squadra e dei suoi rivali, mi resi conto di quanto fosse amato. Da tutti. Al di là del colore e del tifo.

Tra le migliaia di ricordi e testimonianze che ho ascoltato e letto in quei giorni, una di quelle che mi è rimasta più impressa e che mi ha fatto sorridere è stata quella di un volto molto noto per noi padovani: Gianluca Di Marzio, figlio di Gianni, il quale scoprì Maradona molti anni prima della sua avventura a Napoli e che lo considerò per molto tempo come un secondo figlio.

L’esperto di calciomercato ha raccontato un aneddoto molto particolare legato a Diego. Il giocatore del Napoli regalò a Di Marzio Junior una sua maglietta indossata, ancora sudata dopo una partita molto combattuta. La maglietta nonostante fosse zuppa di sudore, era irrealmente profumata. Come se Diego fosse stato diverso da tutti i giocatori avversari anche sotto quell’aspetto. Gli altri lasciavano il terreno di gioco sudati e puzzolenti, lui no. Profumava. Come se per quei novanta minuti non avesse faticato. D’altronde perché avrebbe dovuto faticare? Per lui giocare a calcio equivaleva al nostro respirare.

Un altro aneddoto legato a Maradona (e alla città del Santo) è che il giocatore argentino originario di Lanùs, pur se non giocando, mise piede, anche se solo una volta nella sua vita, nel nostro mitico stadio Appiani.

Era una giornata di fine Agosto del 1985, io sfortunatamente non ero ancora nato e i biancoscudati affrontarono in casa il Napoli per una partita di Coppa Italia. Il Pibe de Oro, con molta probabilità infortunato non scese in campo e rimase a guardare dalla tribunetta coperta dell’impianto di via Carducci i suoi compagni pareggiare con uno scialbo 0-0.

Non calcò il terreno Diego, ma tra le proprie storie, lo stadio Silvio Appiani ne può raccontare persino una dal titolo molto, molto musicale: “Ho visto Maradona…”.

Due stagioni dopo, nel 1987/1988 il numero dieci partenopeo sfidò finalmente il biancoscudo, sempre in Coppa Italia, questa volta a Napoli. 1 a 0 con goal di Careca, ma fu Diego in alcune azioni a far vedere i sorci verdi alla difesa patavina la quale ad un certo punto dovette ricorrere quasi ad un placcaggio. Ne sa qualcosa un certo Cornelio Donati.

Con Diego, a volte non c’era altra soluzione.

La mia passione per il calcio è sbocciata oramai da quasi tre decenni e in tutto questo periodo così lungo non ho mai visto nessuno giocare come lui.

Sul rettangolo verde era qualcosa d’inumano. Un aquilone cosmico. Faceva delle cose che gli altri neppure potevano pensare di realizzare. Fuori dal campo è sempre stato un personaggio molto controverso ma con un fascino smisurato, basti pensare a cosa è successo solo qualche settimana fa dopo la sua morte nelle strade di Napoli e Buenos Aires. Sembrava fosse venuto a mancare un Capo di Stato, per non dire un Santo o un Papa.

E ora, a distanza di qualche giorno dalla sua scomparsa, mi viene da sorridere amaramente, perchè a pensarci bene, il titolo dell’Equipe non era poi cosi blasfemo!