Da El Shaarawy ad Ataway, dai "numeri" di mercato di Rino Foschi, al blitz di De Poli, che ha strappato Thomassen al Campodarsego, dai grandi stadi ai campetti di periferia. Inutile negarlo, è un bel salto indietro. A Padova è l'anno zero del calcio, ma anche un anno delicato: da qui si possono porre le fondamenta per rinascere. Bergamin e Bonetto hanno fatto subito ripartire il carrozzone (e di questo va dato loro merito), ma non basta accendere il motore, bisogna anche inserire le marce: vedremo se saranno all'altezza della situazione, della grande responsabilità che hanno voluto assumersi. Padova è una città che pretende di stare nei piani alti del calcio, perchè tutto qui è pervaso da lontane imprese di grandi eroi e il rispetto per il passato, glorioso, ci obbliga a non abituarci alla mediocrità ma guardare sempre in alto e puntare a risalire, il più possibile, per riassaporare quelle emozioni che abbiamo già vissuto. E' vero che negli ultimi anni abbiamo dovuto abbandonare quella visione un po' romantica del calcio delle precedenti generazioni: la realtà è che bisogna fare i conti con bilanci, numeri a posto, dirigenti competenti. Per sognare di risalire non bisogna dimenticare anche chi e cosa ci ha fatto sprofondare. Servono uomini appassionati e volenterosi, tifosi ma soprattutto imprenditori. Detto ciò, ricordiamoci che stiamo per ripartire dalla serie D, con una squadra allestita in quattro e quattr'otto. La domenica non aspettiamoci numeri di alta scuola, cerchiamo di calarci tutti (ma proprio tutti) in questa nuova dimensione e, almeno inizialmente, portiamo tanta pazienza. Ci scrivete: che sconforto vedere ragazzetti spaesati al raduno, con i borsoni griffati Milan, la lista dei convocati piena di errori e omissioni, il team manager-panettiere, il pullman delle gite scolastiche. Qualcuno ha azzardato il paragone: sembra un reality, perfetti sconosciuti che si ritrovano davanti a delle telecamere. Ma da qualche parte bisognerà pure partire no? In bocca al lupo, torneremo grandi.
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