Altro che segnali di ripresa, altro che cura Serena. Il Padova sprofonda nuovamente nell'oblio, preso a schiaffi anche dal Latina (contro il Carpi pensavamo davvero di aver toccato il fondo, non era così). Troppo fragile, inconsistente, priva di idee e di stimoli questa squadra per essere risollevata dal nuovo tecnico, che sembrava se non altro aver dato un'iniezione di fiducia a un gruppo di giocatori, che, dopo il 4-1 con il Carpi parevano morti e sepolti. Serena ha provato a cambiare qualcosa: nuovi moduli, fascia a Rocchi, qualche esclusione. Ma anche il tecnico veneziano ormai, dopo sole quattro partite, già brancola nel buio, preso dalla frenesia di dover far qualcosa, ma sapendo forse in cuor suo che le sorti di questo Padova già sono segnate (emblematica l'espressione del suo viso qualche settimana fa, alla domanda "come ha trovato fisicamente i giocatori?"). A vedere la partita di Latina, quel che che colpisce è la rassegnazione. Ma forse, più che rassegnati, i giocatori del Padova sono semplicemente non all'altezza della situazione. Dell'attacco abbiamo già scritto e detto di tutto, ma fosse solo quello il problema! Il fatto grave è che a gennaio la squadra non è stata minimamente rinforzata, si è fatta anzi solo più confusione (motivo per cui tra i maggiori imputati di questo fallimento, insieme a molti giocatori, ci dev'essere per forza Marco Valentini). Non sono un disfattista per natura, ma non mi va neanche di continuare a illudere i tifosi, lo lascio fare ad altri: ieri sera a Latina abbiamo segnato in modo indelebile il nostro campionato. Quel che mi preoccupa però, arrivati a questo punto, è il futuro societario. Una società che dopo il momento di gloria vissuto negli anni cestariani (siamo diventati una delle piazze più importanti della serie B, aldilà delle capacità e dei "colpi di testa" del Cavaliere), si appresta a vivere uno dei momenti peggiori della storia pluricentenaria. Troppe cose non mi convincono, troppe cose non sono ancora emerse. Non so, onestamente, se qualcuno sia in grado di sottrarci a questo destino. La nostra unica speranza l'avevamo tutti riposta nell'orgoglio dei giocatori, che sono pur sempre dei professionisti che devono dimostrare qualcosa, aldilà dell'attaccamento alla maglia (concetto romantico a cui non crede più nessuno, a parte il tifoso). Non c'è più nemmeno l'orgoglio, che altro si può aggiungere?
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