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Il fallimento, gli olandesi, la retrocessione. Caco (San Paolo) racconta: “Noi presi in giro per mesi”

A metà dell’ultima settimana si è ufficialmente chiusa la telenovela dell’Atletico San Paolo 2014-15. I giocatori hanno messo le firme sugli accordi con la cordata dei “genitori” che dovrebbe rilevare la società dal presidente Tramonti:...

Redazione PadovaSport.TV

A metà dell’ultima settimana si è ufficialmente chiusa la telenovela dell’Atletico San Paolo 2014-15. I giocatori hanno messo le firme sugli accordi con la cordata dei “genitori” che dovrebbe rilevare la società dal presidente Tramonti: hanno rinunciato a metà delle loro spettanze, ma in cambio hanno già ricevuto le prime tranche di rimborsi. Dopo mesi e mesi al verde, finalmente una soluzione. Ora l’annata nera, iniziata con il fallimento del San Paolo Padova, proseguita con il tira e molla tra Giuseppe Tramonti e i famigerati olandesi e conclusa con un’amara retrocessione in Eccellenza, è finalmente alle spalle. Si può quindi tirare una riga, insieme alle somme: «Mesi e mesi di prese in giro», attacca il capitano, Francesco Caco. «Ci hanno illuso per troppo tempo, fino al punto in cui tutti ci siamo resi conto che nulla sarebbe cambiato». Come è nato il progetto San Paolo, l’estate scorsa? «Il piano era iscrivere la squadra, con Tramonti che poi l’avrebbe presto ceduta al gruppo di investitori olandesi. Ci avevano detto che sarebbero arrivati presto, ma nessuno ci aveva detto che Barbin, il nostro team manager, era la persona che avrebbe tenuto le redini della trattativa». La squadra, invece? «Sulla carta ci saremmo giocati le nostre carte, salvandoci senza soffrire. All’inizio dell’anno, con tre attaccanti come Pittarello, Dall’Acqua e Rebecca, sembrava che sarebbe davvero potuta andare così». E invece i primi due hanno fatto le valigie. Poi che cos’è successo? «Da fine ottobre sono iniziati i problemi. Ci hanno detto che c’erano dei ritardi nei pagamenti, sul momento ci abbiamo creduto ma qualche domanda sulla reale situazione e fattibilità del progetto abbiamo cominciato a farcela. A dicembre arriva il comunicato che annuncia l’imminente cessione: eravamo a pochi giorni dalla chiusura del mercato, a distanza di mesi qualche dubbio sul fatto che potesse essere stato diramato ad arte mi è davvero venuto. Nessuno di noi aveva immaginato una situazione simile, abbiamo sempre creduto alla buona fede delle persone coinvolte». Com’era il clima in spogliatoio? «Ogni giorno arrivavamo al campo speranzosi che arrivassero novità, uno stillicidio che ci ha prosciugato tutte le energie mentali. Quando abbiamo scritto un comunicato per protestare, Barbin si è dimesso e noi siamo stati presi in giro un’altra volta, abbiamo provato a interpellare anche l’Assocalciatori, ma per noi non si è mosso nessuno. Siamo andati avanti 8 mesi senza un euro: non avevamo i soldi per la benzina per arrivare al campo, alcuni non riuscivano a fare la spesa, non c’erano nemmeno 20 euro per una pizza insieme. Siamo stati lasciati soli, quello che abbiamo fatto è stato comunque un miracolo: gli ultimi mesi abbiamo lasciato da parte tutti questi argomenti, abbiamo chiuso la porta e abbiamo provato a ragionare di squadra e a pensare al campo. Solo così siamo arrivati in corsa per la salvezza fino all’ultima giornata». E adesso? «Io non so cosa farò. Spero di avere una possibilità in una squadra di categoria, anche se so che purtroppo questo mondo sta andando sempre più verso un governo di conoscenze e amicizie. Il sogno nel cassetto è quello di poter vestire la maglia del Padova: quest’anno ci avevo sperato, ma per le favole c’è sempre tempo».

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