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Festival dello Sport di Trento, ci sarà anche Roberto Baggio: i dettagli

Non solo un immenso fuoriclasse, un impareggiabile giocoliere, un funambolo prestato al calcio, ma una vera e propria icona. Cioè un messaggio veicolato attraverso l’immagine. Roberto Baggio è stato (ed è ancora) questo: qualcosa che va al di...

Redazione PadovaSport.TV

Non solo un immenso fuoriclasse, un impareggiabile giocoliere, un funambolo prestato al calcio, ma una vera e propria icona. Cioè un messaggio veicolato attraverso l’immagine. Roberto Baggio è stato (ed è ancora) questo: qualcosa che va al di là del perimetro del campo, esce dallo stadio e diventa protagonista della società, della vita di tutti i giorni, nelle strade e nelle piazze non si parla che di lui. Dopo Meazza e Rivera diventa il simbolo dell'arte calcistica italiana. Degli anni Novanta, che ha attraversato con il pallone incollato al piede, sempre pronto a dribblare avversari e portieri neanche fossero birilli, Baggio è stato un esempio di assoluta genialità, e non stupisce che alcuni allenatori si siano scontrati con lui, forse perché non sopportavano che la fantasia del singolo prevalesse sul collettivo o che la felicità di un attimo prendesse il sopravvento sulle loro idee di tecnica e di tattica, autentiche lezioni studiate alla lavagna per giorni e giorni che evaporavano di fronte a una finta o a uno scherzo che Roberto sapeva fare semplicemente accarezzando il pallone. Baggio sarà grande protagonista del Festival dello Sport sabato 12 ottobre.

Il numero 10 sulla maglia è, da sempre, nel calcio il segno dell'estro, dell’anti-convenzionale che sovverte l’ordine costituito, persino della sregolatezza. Baggio è stato un numero 10 in tutto e per tutto, anche se Michel Platini preferiva definirlo un "nove e mezzo", sottolineando in questo modo le indubbie qualità realizzative di Roberto e togliendogli quel po' di visione complessiva che invece le Roi possedeva in dosi smisurate. Nel calcio del suo tempo, quello che sbarca appunto negli anni Novanta e arriva oltre la fine del Millennio, Baggio è un alieno. Allora si allenavano soprattutto i muscoli, i centrocampisti si scontravano come carrarmati, il dribbling era se non proibito perlomeno visto con sospetto e la parola "pressing" dominava la scena a tutti i livelli. In un simile ambiente un pulcino come Baggio, alto poco più di un metro e settanta, sarebbe potuto scomparire ben presto, soprattutto se si considera che tanti gravi infortuni lo avevano azzoppato in gioventù. Al contrario lui, aggrappato al suo talento, scalò la montagna e lo fece senza che nessuno lo spingesse. Dal Vicenza passò alla Fiorentina e nella città di Michelangelo divenne un artista a tutto tondo: conquistò il pubblico, ne catturò l’attenzione come sanno fare gli incantatori di serpenti e quando la famiglia Pontello lo cedette alla Juventus successe un tumulto di piazza con conseguente intervento di polizia e carabinieri. Era la primavera del 1990. Poi ci furono le stagioni in bianconero, quelle al Milan, al Bologna, all'Inter e al Brescia, fino al maggio 2004, quando nel teatro di San Siro, ringraziò tutti e scese dal palcoscenico: aveva dato tutto, la benzina era finita.

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