Doveva essere un derby, è diventato il far west. Motivi sensati? Non ce ne sono.Siamo al 13 febbraio 2000, quella che è stata ribattezzata come “la domenica delle pistole”, ed il Padova è impegnato a Castelfranco contro il Giorgione per il sesto turno del ritorno del campionato di Serie C2 1999-2000, Girone B. Una partita delicata per i biancoscudati, appena scivolati fuori dalla zona playoff , diretta conseguenza di una penuria di risultati che si protraeva da oltre due mesi, con l'ultima vittoria che risaliva al 5 dicembre precedente in quel di Castel San Pietro Terme, vale a dire otto turni prima.La gara contro un Giorgione “impelagato” nelle zone basse della classifica sin dall'inizio del campionato sembrava dunque la migliore delle occasioni per trovare riscatto. All'andata, all'Euganeo, il finale era stato 2-0 in favore degli uomini di Beruatto. Quello del 13 febbraio dunque, si preannunciava un derby molto sentito, specialmente dai tifosi rossostellati. Un derby che verrà ricordato per tutto, fuorché per ciò che accadde sul terreno di gioco.La gara è in programma – come di consueto – per le tre del pomeriggio, ed il Padova giunge allo Stadio Comunale di Castelfranco circa un'ora prima del fischio d'inizio. E fin qui, tutto regolare. Poi però i giocatori scendono dal pullman per recarsi negli spogliatoi, ma, non appena entrati, sono costretti ad uscirne urgentemente a causa di un insopportabile odore di ammoniaca che Diego Bonavina, capitano del Padova ed ex di turno (180 presenze con la maglia rossostellata tra l'84 e il '92), definì terrificante, tanto da far lacrimare gli occhi. Ebbene sì, i pavimenti dello spogliatoio erano stati totalmente ricoperti di ammoniaca per non permettere ai biancoscudati di poterlo utilizzare. Ai giocatori, dunque, non rimane che tornare nel pullman e cambiarsi lì. Nel tragitto, incontrano il giovane presidente del Giorgione: il napoletano Raffaele Auriemma, (è solo un omonimo del celebre telecronista napoletano), figlio diciannovenne del patron della squadra, Mario Auriemma. Quale persona migliore verso la quale esternare il proprio stupore riguardo all'accaduto? L'avvocato Bonavina esprime dunque le proprie rimostranze (e quelle dei suoi compagni di squadra) e chiede spiegazioni al numero uno rossostellato, il quale, per tutta risposta, dopo essersi sbottonato la giacca, lascia loro intravedere una pistola, accarezzandola minacciosamente e limitandosi a rispondere: “Questa è casa mia e qui comando io”. In questo clima, inizia la gara.Una gara durante la quale l'allenatore biancoscudato Beruatto viene preso di mira dal patron del Giorgione, Mario Auriemma, che lo insulta ripetutamente arrivando persino a sputargli addosso, mentre suo figlio Raffaele tenta di aggredire in tribuna un tifoso del Padova, stavolta – per fortuna – senza fare sfoggio di armamenti vari. Sul piano sportivo, invece, la partita è maschia, il Giorgione la mette sul piano della fisicità ed il risultato non si sblocca dallo 0-0 fino ad inizio della ripresa, quando Giuseppe “Peppino” Ticli porta in vantaggio il Padova con una bella conclusione a giro sul secondo palo. I padroni di casa reagiscono, ma Colombo è abile a chiudere a doppia mandata la porta biancoscudata, consentendo così ai suoi di raddoppiare a poco più di un quarto d'ora dal termine con la rete di Nicola Sanna. La gara si incanala dunque su un nuovo 2-0 in favore dei biancoscudati, che dagli ultimi minuti del primo tempo godevano oltretutto della superiorità numerica alla luce dell'ultimo episodio di violenza di giornata: il pugno sferrato dal rossostellato Di Lello ai danni di Mirko Gasparetto, il quale, dopo aver subìto l'ennesimo fallo, si era rialzato per andare a protestare a muso duro contro il suo ruvido marcatore. Giallo per Gasparetto, rosso per Di Lello. Triplice fischio. Giorgione-Padova 0-2 e biancoscudati nuovamente in zona playoff. Gli spogliatoi sono ancora inagibili, non rimane dunque che tornare a casa ancora in tenuta da gioco, senza avere nemmeno la possibilità di fare la doccia. Volge così al termine una giornata folle per il calcio biancoscudato.Non si conclude però la vicenda-Auriemma: il mercoledì successivo, infatti, due agenti della Questura di Treviso perquisiscono la sede del Giorgione nel tentativo di rinvenire l'arma che era stata esibita a Bonavina e compagni, senza però trovare nulla di sospetto, mentre il giorno dopo, giovedì 17, vengono portati presso il Tribunale di Castelfranco i verbali e i rapporti relativi all'accaduto. Dopo averli visionati, il magistrato decide di aprire un'inchiesta. Nel frattempo, la società castellana era stata multata per quattro milioni di lire a causa dell'ammoniaca negli spogliatoi per “mancata assistenza agli ospiti”.Il processo a Raffaele Auriemma prende dunque inizio: i legali del napoletano sostengono che quella pistola fosse un'arma giocattolo e che le testimonianze di Bonavina e Brusomini (il medico sociale del Padova, presente al momento dell'accaduto) fossero prive di credibilità e contraddittorie. Il pubblico ministero invece, prescindendo dalla “natura” della pistola, chiede al giudice Bruno Casciarri una reclusione di quattro mesi per il presidente Auriemma per il contegno minaccioso tenuto nei confronti di Bonavina, Brusomini e degli altri presenti, rimasti “impauriti, allarmati e intimiditi” – disse. Il 24 settembre 2003, ad oltre tre anni e mezzo di distanza da quella famigerata domenica, ecco la sentenza: due mesi di reclusione per Raffaele Auriemma, che verranno poi commutati in pena pecuniaria.Bene sceriffo, giustizia è fatta.
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13 febbraio 2000: Giorgione-Padova, il far west di Castelfranco
Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
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