In ambito storico, quello del punto di massimo splendore era un concetto ben noto già agli antichi greci. Akmè era il termine da loro utilizzato per indicarlo. Quale quello biancoscudato? Non ce n'è uno solo. Ce ne sono ben undici: Pin; Blason, Scagnellato; Pison, Azzini, Moro; Hamrin, Rosa, Brighenti, Mari, Boscolo. Questi i leoni della stagione dei record, la stagione 1957-1958, eroi che portarono il Padova a conquistare un magnifico terzo posto in Serie A. Nomi che riecheggiano nella mente di ogni tifoso biancoscudato, volgendola verso un calcio ormai perduto. Un'epoca in cui anche una squadra come il Padova poteva vivere il proprio sogno tricolore, al pari di quanto accaduto esattamente trentacinque anni prima, nel corso della stagione '22-23. Anche allora i biancoscudati si erano classificati al terzo posto nell'antica Prima Divisione, alle spalle del Genoa campione d'Italia e della Pro Vercelli, dopo essersi qualificati alla fase finale della competizione grazie al successo ottenuto nel proprio girone d'appartenenza. Ma l'exploit che è veramente passato agli annali è proprio quello del 1957-1958, vuoi per la “semplicità” del girone unico, vuoi per la maggior prossimità temporale ai nostri giorni. E sì che la stagione non era propriamente iniziata sotto i migliori auspici. Tutt'altro. Ad inizio luglio, infatti, il presidente Bruno Pollazzi aveva comunicato le proprie dimissioni irrevocabili dovute alla disastrosa situazione in cui versavano le casse societarie: ben 186 milioni di lire di passivo. Una cifra davvero ingente all'epoca. Al suo posto, la stanza dei bottoni biancoscudata venne affidata al vicepresidente Gino Vescovi, nominato commissario straordinario, e tutti i giocatori della rosa vennero dichiarati cedibili. Per fortuna, però, questa fu solamente un'esternazione di facciata. A lasciare la città del Santo, infatti, furono inizialmente i soli Sarti e Nicolè, i due enfant prodiges biancoscudati, che fu impossibile trattenere a fronte delle lusinghiere offerte giunte da parte dai più facoltosi club dell'epoca: il primo passò alla Sampdoria in cambio della cessione a titolo definitivo di Humberto Rosa, perno del centrocampo biancoscudato già nella precedente stagione, e di venticinque milioni, mentre il secondo firmò per la Juventus, che versò al Padova ben sessanta milioni di lire. Cifre che furono come ossigeno per il malconcio bilancio societario. L'intenzione di dirigenza e allenatore (il riconfermato Rocco) era però quella di migliorare il tredicesimo posto ottenuto nel campionato appena terminato. Ma c'era da fare i conti con un'inevitabile spending review. Ecco perché, per porre rimedio alla poca incisività evidenziata dal reparto offensivo (secondo peggior attacco del campionato, mentre la difesa si rivelò addirittura la meno battuta), vennero messi sotto contratto due giocatori sui quali in pochi avrebbero scommesso. Calciatori ritenuti ormai finiti, entrati nella fase calante delle rispettive carriere a causa di numerosi infortuni che li avevano colpiti negli anni precedenti: Kurt Hamrin e Sergio Brighenti. Il primo in prestito dalla Juventus (nessun diretto collegamento con l'affare-Sarti), il secondo a titolo definitivo dall'Inter. Conseguenza del loro arrivo in biancoscudato fu la partenza del bomber delle precedenti stagioni, protagonista della promozione del '55: Amedeo Bonistalli. L'undici che farà la storia è dunque completo. Tra i pali Toni Pin, portiere minuto (era alto 1 metro e 75) ma agilissimo, come libero “spazzatutto” un fedelissimo del paròn quale Ivano Blason alle spalle della maginot formata da Moro, Scagnellato ed Azzini. In mediana poi ecco le mezze ali Mari e Pison a supporto del regista della squadra, Humberto Rosa, fulcro di ogni manovra, pronto a lanciare a rete i neoarrivati Brighenti e Hamrin, due brevilinei assolutamente adatti a raccogliere i lanci ed a finalizzare le ripartenze imbastite dalle retrovie. A completare la formazione, l'ala sinistra numero undici, il pendolino Enore Boscolo, altra vecchia conoscenza di Rocco. “E non fu un caso che gli arrivi estivi antecedenti alla conquista del terzo posto fossero stati solamente due”. Ci confessa lo stesso Humberto Rosa. “Una squadra importante si costruisce con gli anni. L'affiatamento è fondamentale”. L'8 settembre all'Appiani, però, in occasione dell'esordio in campionato contro la Lazio, Nereo Rocco non sedeva in panchina. Il motivo? Due settimane prima era stato squalificato per sei mesi per omessa denuncia nell'ambito del caso Padova-Legnano che aveva tenuto banco per tutta l'estate in casa biancoscudata. Ciò significa quindi che avrebbe saltato la maggior parte del campionato, tornando disponibile solamente a dodici giornate dal termine, il 26 febbraio, tre giorni dopo l'incontro interno contro la Juventus. Una partita che si rivelerà la più importante della storia biancoscudata... Al suo posto dunque, durante le prime ventidue giornate, a guidare la squadra da bordo campo fu il vice allenatore Elvio Matè, ex bandiera biancoscudata. Ed il buon giorno si vide dal mattino. Prima giornata e prima vittoria: 3 a 1 il finale contro la Lazio. In rete Hamrin, Moro e Chiumento, polivalente mezzala in biancoscudato già da tre stagioni che figurerà spesso nell'undici titolare al posto di Mari o di Boscolo. Un esordio niente male dunque per i panzer di Rocco contro la terza classificata del campionato precedente. Ma che la stagione non sarebbe stata priva di soddisfazioni lo si intuisce già la settimana successiva, quando, dopo aver sconfitto il Genoa per 4 a 1 specialmente grazie ad una tripletta di Hamrin, il Padova si ritrova in vetta alla classifica ex aequo con la Juventus. Una posizione che però verrà presto abbandonata a seguito della sconfitta esterna subita sul campo della Roma e del pareggio a reti bianche maturato contro l'Inter all'Appiani. Il successivo impegno proprio sul campo di una Juventus ancora a punteggio pieno rappresenta dunque l'occasione per testare la reale consistenza di Scagnellato e compagni. Ma non ci fu nulla da fare: decisivi si rivelarono i gol siglati da Boniperti e dall'ex di turno Stivanello, ed inutile quindi la rete del 2 a 1 realizzata da Moro su rigore a cinque minuti dal 90'. Ed a far abbassare ulteriormente la cresta ai biancoscudati ci pensò sette giorni più tardi anche il Napoli, che di fronte al proprio pubblico asfaltò gli uomini di Matè per 4 a 0, rispedendoli nell'anonimato della parte destra della classifica. Con un digiuno di vittorie che si protrae da oltre un mese, c'è immediato bisogno di una reazione da parte della squadra. Ed è a questo punto che si scatena Kurt Hamrin, la faina, galvanizzato dalla recente nascita del secondogenito. E' lo svedese infatti che, realizzando quattro reti, regala ai biancoscudati due importanti successi interni contro Vicenza (1 a 0 il finale) e Torino (3-0), per poi replicare il 3 novembre a Bergamo, sul campo dell'Atalanta, quando fissa sull'1 a 1 il punteggio finale dopo l'iniziale vantaggio nerazzurro firmato Mion. E' ufficiale, il Padova è tornato a correre, lo certificano anche i quattro successi consecutivi che maturano contro Sampdoria, Alessandria, Udinese e SPAL, quest'ultimo con un nuovo, vecchio presidente alla guida della società: Bruno Pollazzi, che il 13 dicembre era tornato a ricoprire la carica di numero uno biancoscudato. Il Padova non perde ormai da sette turni, i risultati ottenuti sono di quelli importanti. Ecco dunque che, dopo aver impattato 1 a 1 sul campo dell'Hellas Verona, i biancoscudati hanno la possibilità di festeggiare l'anno nuovo salendo al secondo posto in caso di risultato positivo nel recupero del decimo turno sul campo del Milan il giorno di capodanno. E così accadde: 1-1 il finale, ma non senza rammarico, poiché la rete del pareggio milanista arrivò solamente all'89', con Schiaffino a rispondere al vantaggio biancoscudato firmato, ancora una volta, Kurt Hamrin. Ad ogni modo, il Padova è secondo in classifica insieme alla Fiorentina a quota 20 punti, a sole tre lunghezze di distanza dalla Juventus capolista. In città si sogna, ma Rocco tiene i piedi ben piantati a terra: “E' il più bel giorno della mia vita, ma non mi monto la testa. Punto solamente alla salvezza”. Sarà, ma il Padova continua ad allungare la propria striscia positiva anche il 5 gennaio in casa del Bologna, dove il finale è di 0-0, nonostante le proteste biancoscudate per la mancata sanzione da parte dell'arbitro Adami di un evidentissimo calcio di rigore a causa di una parata di Bodi, mediano rossoblu, su potente colpo di testa di Brighenti diretto nel sacco. All'indomani Rocco riguardo all'accaduto dichiara: “Noi e le altre provinciali che tanta noia diamo agli squadroni sappiamo di partire ad ogni campionato con almeno 4-5 punti di handicap...”. Fortunatamente, anche la Fiorentina non riesce a strappare più di un punto contro l'Atalanta. Il secondo posto è dunque salvo, ma la Juve scappa a più cinque. E l'ultima giornata del girone d'andata vede in calendario proprio Padova-Fiorentina. All'Appiani accorrono in 23000. Un numero mai registrato in precedenza per una partita dei biancoscudati. E non rimarranno per nulla delusi: Padova vittorioso per 3-2 (in rete Brighenti, Boscolo e Moro) e dunque capace di portarsi a meno due dalla Juve al giro di boa, alla luce della sconfitta patita dai bianconeri sul campo della Roma. Lo stesso su cui cadranno però sette giorni più tardi Scagnellato e compagni contro la Lazio, ponendo così fine alla miracolosa striscia positiva che si protraeva da ben undici gare. A decidere il match è infatti la rete realizzata in apertura di ripresa da Umberto Pinardi. Fortunatamente però, i successivi due impegni contro Genoa e Roma avrebbero dovuto avere luogo all'Appiani, stadio in cui il Padova aveva vinto le ultime sei gare disputate di fronte al pubblico amico. Sei che diventeranno otto: rossoblu e giallorossi sconfitti con tre reti di scarto rispettivamente per 6-3 (con poker di Hamrin) e 3-0. Manca ormai davvero poco allo scontro diretto contro la Juve capolista, solamente due settimane. Prima, però, c'è da recarsi in quel di San Siro a far visita all'Inter di Skoglund e Angelillo, dove il risultato sarà il medesimo dell'andata: 0-0. Con la contemporanea vittoria degli uomini di Brocic contro la SPAL, alla vigilia dello scontro diretto la situazione nei piani alti della classifica è dunque la seguente: Juventus 33 punti, Padova 28, Fiorentina 25. Il 23 febbraio è il giorno della verità. Per continuare a sperare realisticamente nel tricolore, il Padova ha un solo risultato utile: la vittoria. L'Appiani è un catino infuocato di passione biancoscudata. I biglietti vanno presto sold out, la capienza dello stadio viene ampiamente superata, tanto che i numerosi spettatori che non riescono ad accomodarsi sugli spalti sono costretti assistere alla partita letteralmente a bordo campo, a pochi centimetri dalle linee laterali. Ma questo soprattutto grazie al personale intervento di Pollazzi ed Umberto Agnelli, i due presidenti. Questa la testimonianza di Blason: “Gli spettatori che si erano posizionati a bordo campo erano stati fatti allontanare dal servizio d'ordine dello stadio. Ricordo le loro facce quando ci passarono davanti, facce da cadaveri, tristi tristi. A quel punto Pollazzi ed Agnelli dichiararono che se ci fossero stati problemi la partita l'avrebbe vinta la Juve”. Patti chiari, amicizia lunga. Si può procedere. Il Padova scende in campo al completo, con il suo undici ideale, mentre la Juve deve fare a meno dell'infortunato Sivori. E sarà proprio un suo connazionale a sbloccare il match: Humberto Rosa al minuto numero 38, trasformando in oro da pochi passi un preciso servizio del sempre frizzante Hamrin, che aveva seminato il panico sulla destra. L'Appiani è in visibilio, ma la gara è ancora lunga, lunghissima. Troppo. Al 78', infatti, le insistite iniziative bianconere per giungere al gol del pareggio vanno a buon fine grazie ad un guizzo di Stacchini, che porta il risultato sull'1 a 1, punteggio che perdura sino al triplice fischio, complice anche un calcio di rigore di Corradi parato da Pin negli ultimi minuti di gioco. Incredibili le coincidenze del calcio. Stacchini, l'uomo che andò a spegnere ormai definitivamente le speranze scudetto del Padova sarà proprio colui che, in tandem con Mauro Sandreani, trentasei anni più tardi riporterà il Biancoscudo in Serie A dopo un'assenza ultratrentennale dal massimo campionato. Al termine della sfida verità, i punti che distanziano i biancoscudati dai bianconeri rimangono dunque cinque. Troppi da recuperare per una cenerentola come il Padova nei confronti di una squadra che fino a quel momento ne aveva lasciati per strada solamente nove, partita dell'Appiani esclusa. In ogni caso, siccome sognare non costa nulla, i biancoscudati, guidati nuovamente in panchina da Rocco, vanno ad ottenere punteggio pieno nelle successive due gare contro Napoli e Vicenza senza riuscire però a rosicchiare alcun punto alla corazzata Juve. Il 2-0 subìto sul campo del Torino e l'imprevisto scivolone interno contro l'Atalanta (un pesante 3-0 nell'ambito del quale venne in seguito squalificato per due anni Azzini, colpevole, secondo la CAF, di avere venduto una propria prestazione scadente agli orobici) chiusero poi il discorso scudetto consegnando così il tricolore alla Juventus, che poté dunque iniziare ad appuntarsi sul petto la prima stella della sua storia. Per quanto riguarda il Padova, le successive sette gare coincisero con altrettanti risultati positivi: quattro vittorie ottenute contro Milan, Sampdoria, Verona e Bologna, e tre pareggi maturati contro Alessandria, Udinese e SPAL. All'ultima giornata è in programma Fiorentina-Padova, terza contro seconda. Un solo punto di distanza tra le due. Una gara con il prestigio solamente della conquista della piazza d'onore, non essendo ancora nata la Coppa Uefa. Come andò a finire? Fu una debacle. 6 a 1 il pesante passivo con cui un Padova schierato con varie seconde linee concluse la miglior stagione della propria storia, posizionandosi dunque al terzo posto, a quota 42 punti, a meno uno dalla Fiorentina ed a meno nove dalla Juventus matematicamente campione d'Italia già con tre giornate d'anticipo rispetto al termine del campionato. Sulle vicende di quel magnifico torneo tornò ripetutamente, alcuni decenni più tardi, Gianni Brera, grande amico di Nereo Rocco. “Se il Padova non fosse stato penalizzato dagli arbitri, l'avrebbe vinto quello scudetto. E forse non solo quello. Era una squadra che i critici del catenaccio, ossia la stragrande maggioranza della stampa, giudicavano reproba, per cui non veniva tutelata”. Questo il suo pensiero. E se lo dice uno come lui c'è da fidarsi.
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1957-1958: la stagione dei record. Cronaca di un sogno tricolore tutto biancoscudato
Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
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