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6 maggio 1959: Inghilterra-Italia 2-2. I biancoscudati Brighenti e Mariani scrivono la storia della Nazionale

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Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
Alessandro Vinci

Amici biancoscudati, siamo ormai agli sgoccioli: tra poco più di quindici giorni prenderanno il via gli attesissimi Mondiali brasiliani. L'Italia è stata inserita nel girone D in compagnia di Uruguay, Costarica ed Inghilterra, nazionale contro cui esordiremo il 14 giugno a Manaus. Proprio loro, i maestri inglesi, gli inventori, i padri del football (checché ne dicano gli estimatori del calcio fiorentino), pressoché imbattibili per tutta la prima metà del ventesimo secolo. I primi “continentali” a riuscire nell'impresa di sconfiggere la nazionale dei tre leoni furono gli spagnoli, nel 1929: 4-3 a Madrid. Ma in terra inglese non ci riuscì mai nessuno sino al 1953. Nemmeno l'Italia di Vittorio Pozzo né il Wunderteam di Sindelar. Poi però arrivò una squadra formidabile, mai vista prima, troppo innovativa per l'epoca: era l'Aranycsapat, la nazionale ungherese di Puskàs e Kocsis, di Czibor e Hidegkuti, guidata da Gusztàv Sebes. Il tempio di Wembley, quel giorno, il 25 novembre del 1953, venne sacrilegamente espugnato per 6-3. Prego, passateci lo scettro. No, non ci avevano capito proprio nulla loro, gli inglesi, degli schemi ungheresi, con quel centravanti arretrato che, se seguito a uomo, apriva fatali voragini in mezzo alla difesa. L'Italia, invece, dovette attendere sino al 1973 per avere per la prima volta la meglio sugli inglesi, sia in casa che in trasferta. Sino ad allora erano al massimo arrivati dei pareggi casalinghi. Solo schiaffi, invece, oltremanica. Tranne un'eccezione nel lontano 1959, quando gli azzurri uscirono per la prima volta imbattuti da Wembley. Il finale fu di 2-2, in rimonta. E le due reti italiane recavano la firma di Sergio Brighenti e Amos Mariani, entrambi calciatori biancoscudati. Un vero orgoglio nazionale.Sergio Brighenti, centravanti classe '32, cresce calcisticamente tra le fila della squadra della sua città natale, il Modena, esordendo in prima squadra nel campionato di Serie B 1949-1950. Rimane all'ombra della Ghirlandina per altre due stagioni, entrambe disputate in serie cadetta, mettendo a segno 19 reti in 51 presenze, prima di venire acquistato dall'Inter di Alfredo Foni (ex calciatore biancoscudato), con cui vincerà due scudetti a cavallo tra il 1952 ed il 1955. Anche a causa di alcuni problemi fisici, però, dopo tre stagioni in nerazzurro, viene ceduto in prestito alla Triestina, sempre in Serie A. Nella prima della due stagioni che trascorre in alabardato, il centravanti modenese contribuisce alla salvezza dei giuliani mettendo a segno 8 reti, laureandosi così capocannoniere stagionale della squadra, mentre nella seconda, conclusasi con la retrocessione in Serie B, le reti sono solamente 5. L'Inter non ha intenzione di reintegrarlo in rosa, si fa così avanti il Padova di Nereo Rocco. L'accordo per il prestito del giocatore non tarda ad arrivare, ma l'acquisto di Brighenti non viene visto di buon occhio dai tifosi biancoscudati, alquanto perplessi riguardo alle condizioni fisiche del modenese (come nel caso di Hamrin) e memori delle due stentate stagioni che aveva appena disputato con la maglia della Triestina. Nulla di più sbagliato: le caratteristiche di Brighenti, centravanti mobile e scattante (era alto appena 1 metro e 73) ed abilissimo nel gioco di contropiede, unite alla sua propensione al sacrificio in fase difensiva, si coniugano alla perfezione con la filosofia calcistica di Nereo Rocco, che ne fa presto uno dei suoi uomini più fidati. Per fugare le perplessità dei tifosi, però, ci vorrà un po' di tempo. Infatti nelle undici gare che disputa nel girone d'andata della storica stagione 1957-1958 trova la via del gol solamente in due occasioni: la prima, il 17 novembre contro la Sampdoria e la seconda, due mesi più tardi, nel match interno contro la Fiorentina. Ma nel girone di ritorno il modenese cambia marcia e mette a segno 9 reti in 17 presenze (schierato sempre titolare), alla media di più di un gol ogni due partite, concludendo così il suo primo campionato all'ombra del Santo a quota 11 reti ed entrando nell'orbita della Nazionale italiana, con cui esordirà la stagione successiva, proprio nella sfida di Wembley, il 6 maggio 1959. Una convocazione senza dubbio meritata per Brighenti che, partito Hamrin, capocannoniere della squadra della stagione precedente, si accolla tutto il peso del reparto offensivo biancoscudato totalizzando 17 reti al termine del campionato, concluso dal Padova all'ottavo posto. Alle sue spalle nella classifica cannonieri biancoscudata c'è il montecatinese Amos Mariani (ala acquistata dal Milan l'estate precedente per far fronte alla partenza di Hamrin), che mette a segno 9 reti e si guadagna anch'egli la convocazione del CT Ferrari per l'attesissima gara in terra inglese, tornando in azzurro dopo sette anni. Una partita dall'esito apparentemente scontato, quella di Wembley, anche contando il fatto che la Nazionale italiana non attraversava certo uno dei periodi più fulgidi della propria storia, non essendo nemmeno riuscita a qualificarsi per i mondiali svedesi dell'anno precedente. Eppure gli azzurri riuscirono a tornare per la prima volta imbattuti dalla “perfida Albione”.Di fronte a 90000 spettatori, gli uomini di Ferrari partirono subito propositivi, impensierendo più e più volte la retroguardia inglese, che però al 27' poté festeggiare la rete del vantaggio grazie alla marcatura di Bobby Charlton, che su azione di contropiede trafisse Lorenzo Buffon (lontano parente di Gigi all'epoca in forza al Milan) con un preciso diagonale mancino dal limite dell'area. Gli azzurri però non si persero d'animo, ma conclusero la prima frazione in doppio svantaggio alla luce della rete siglata da Bradley al 38'. Vuoi per la brillantezza degli azzurri (che certamente non meritavano il passivo fino a quel momento maturato), vuoi per l'eccessiva sicurezza dei padroni di casa, però, nel giro di cinque minuti a cavallo fra il 56' ed il 61', l'Italia ristabilì la parità con le reti di Brighenti e Mariani. Di pregevole fattura entrambe le marcature: nella prima, il modenese, dopo aver ricevuto un preciso passaggio dalle retrovie, elude la marcatura del proprio marcatore bruciandolo in velocità, vince un contrasto con l'ultimo difensore inglese e beffa Hopkinson con un pallonetto mancino che si insacca in rete, complice una deviazione al momento del tiro. Nella seconda, Mariani viene imbeccato alla perfezione da Galli e, solo di fronte al portiere di casa, insacca di destro sul primo palo, perfetta conclusione di una magistrale azione di contropiede. Il parziale non cambierà più fino al triplice fischio. I biancoscudati Brighenti e Mariani scrivono un'importante pagina di storia della nostra Nazionale.La stagione successiva però, Mariani passò alla Lazio, mentre Brighenti si riconfermò implacabile bomber biancoscudato, siglando ben 21 reti nel corso del campionato (che il Padova concluse al sesto posto), l'ultima delle quali è stata riconosciuta dallo stesso centravanti come la più bella della sua carriera: “Giocavamo a Bologna. Ero a venti metri dalla porta quando vidi arrivare il pallone. Mi coordinai e venne fuori una rovesciata che finì proprio all'incrocio dei pali.” Un degno saluto al Calcio Padova. Eh sì perché la stagione successiva Brighenti passò alla Sampdoria, società con cui i rapporti erano sempre stati molto buoni in sede di calciomercato durante gli anni '50. Il suo bilancio totale in biancoscudato parla di 90 presenze e 50 gol, che lo classificano al quinto posto della classifica dei bomber biancoscudati all time, ex aequo con Nanu Galderisi, che però, di partite ne ha giocate il doppio. Se ne va dunque anche il secondo reduce della gara di Wembley il cui risultato, invece, così come i nomi dei marcatori, rimarrà per sempre indelebile nel libro della storia della nostra Nazionale.

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