Erano amici, Alessandro Cartini e Massimiliano Ossari. Si conoscevano sin da ragazzini, quando entrambi rincorrevano un pallone nelle giovanili del Padova sognando di calcare un giorno i più prestigiosi palcoscenici del calcio italiano. Una speranza comune, una carriera comune, ma anche un destino comune. Ingiusto. Come tutte le morti premature. Storie simili ma anche differenti, le loro. Storie da ricordare sempre con rispetto e compassione.Il più grande dei due era Cartini, nato a Marghera nel luglio del 1974. A portarlo a Padova era stato nell'88 Loris Fincato, responsabile del settore giovanile biancoscudato, su segnalazione di Lello Scagnellato, che lo scoprì all'età di quattordici anni con la maglia del “Villaggio dei Fiori” (una squadretta di Spinea), aggregandolo poi a quella fortunata nidiata che comprendeva anche un paio di suoi illustri coetanei quali Ivone De Franceschi ed Alex Del Piero. Mica gente qualunque. Ed infatti i risultati non faticarono ad arrivare, in primis l'ottimo quarto posto ottenuto nel torneo di Viareggio del '93 vinto dall'Atalanta di Cesare Prandelli. L'anno successivo, poi, ecco Cartini venire stabilmente aggregato alla prima squadra, a quel Padova edizione '93-'94 che conquistò la promozione in Serie A, senza però mai provare l'emozione dell'esordio. Ma il ragazzo prometteva bene, rappresentava un patrimonio che la società non voleva lasciarsi sfuggire, per cui nell'estate del '94 venne ceduto in prestito in Serie C1 al Casarano di Maurizio Viscidi, suo allenatore ai tempi degli Allievi. Due furono le stagioni che Alessandro trascorse in Puglia, totalizzando complessivamente 47 presenze (con un gol), per poi riavvicinarsi a casa passando, sempre in prestito, al Giorgione, in Serie C2. E fu proprio lì, nell'estate del '97, che ritrovò il suo vecchio compagno di giovanili Massimiliano Ossari, di tre anni più giovane, essendo nato nel '77. Lui sì, invece, che era riuscito ad esordire in prima squadra. Ed addirittura in Serie A, nella stagione '95-'96. Due presenze da subentrato per un totale di ventiquattro minuti per “Maci” (questo il suo storico soprannome): i primi quattordici accumulati all'antivigilia di Natale nello scontro interno contro il Piacenza, gli ultimi dieci invece poco più di un mese più tardi, sempre all'Euganeo, contro il Napoli, dopo aver preso il posto di Max Rosa, che di lui a fine stagione dirà: “Dei giovani Ossari è indubbiamente quello che si applica di più. Segue con attenzione i nostri movimenti, chiede consigli e spiegazioni. Insomma, la volontà per fare strada è quella giusta”. Niente male per un diciottenne, per giunta padovano (di Cartura, ma nato nella vicina Conselve), che probabilmente sarebbe sceso in campo anche in altre occasioni in massima serie se solo non fosse stato per una fastidiosa infiammazione alle ginocchia che lo colpì negli ultimi mesi della stagione. Poi, anche nel suo caso, la società optò per il prestito in C1, al Novara. Quindici presenze in maglia azzurra nella stagione '96-'97, ed in seguito – come anticipato – il ritorno in Veneto, al Giorgione, a fare coppia fissa nella retroguardia rossostellata con Cartini. Maci al centro, Alessandro a spingere sulla sinistra. Ed a fine stagione fu salvezza ai playout, strano ma vero per la settima difesa del campionato. Insomma, Cartini ed Ossari ci sapevano fare. Nell'estate del '98 ecco dunque la grande occasione della loro carriera: il ritorno all'ovile di un Padova nel frattempo scivolato in C1. Ma una volta nuovamente indossata la maglia biancoscudata, non impiegarono molto tempo per rendersi conto che la stagione non sarebbe stata come se l'aspettavano: alla fine fu retrocessione in C2, dopo la sconfitta ai playout contro il Lecco. Nonostante ciò, però, Cartini ed Ossari (che nel corso del campionato avevano rispettivamente totalizzato 19 e 17 presenze) non abbandonarono la nave. Tutt'altro. Ma l'annata 1999-2000 risultò essere l'ultima con la maglia del Padova per Alessandro, che si accomiatò dal Biancoscudo realizzando tre reti nel corso della stagione: una in Coppa Italia di Serie C sul campo della Triestina, le altre due in campionato ai danni di Sora e Sassuolo. Poi la cessione in C1 (particolare non da poco) al Giulianova, complice anche il roboante arrivo sulla sua zona di competenza di Felice Centofanti, portato in biancoscudato dal neopresidente Mazzocco per restituire un briciolo di entusiasmo ad una piazza avvilita da anni di interminabili sventure sportive. E da lì, il declino.Metà campionato in Abruzzo, poi il prestito semestrale alla Fidelis Andria e la stagione successiva il passaggio in C2 alla Poggese, dove finì per giunta fuori rosa a causa di incomprensioni con il presidente della squadra, Everardo Trazzi. Ma ci piace immaginare che a tirarlo su di morale ci abbia pensato uno dei suoi nuovi compagni: Maci. Eh sì, proprio lui. Nuovamente al suo fianco, dopo essere stato ceduto dal Padova alla Cremonese (con la cui maglia siglò l'unico gol della sua carriera) nel gennaio del 2001 e nell'estate successiva proprio alla Poggese. A gennaio 2002, poi, una nuova separazione delle loro strade. L'ultima.Ossari passa – sempre in C2 – al Thiene. Obiettivo di fine stagione: evitare la retrocessione. Compito portato a termine con tranquillità a due giornate dalla fine del campionato, dopo aver impattato per 0-0 sul campo del Sassuolo il 21 aprile. E' un gran traguardo per una piccola squadra di provincia. Festeggiare è d'obbligo. Tanto meglio la sera stessa, poco importa dunque se qualcuno risente ancora delle fatiche del pomeriggio. Ma la stanchezza, a Maci, risultò fatale.Nel ritornare di notte a casa, a Cartura, un colpo di sonno in autostrada, il tamponamento ad un camion, ed il successivo, violentissimo impatto della sua Mercedes contro il guard rail centrale. Maci scompare a soli ventiquattro anni. La notizia sconvolge tutti. Sconvolge i tifosi del Padova, che la domenica successiva a La Spezia intonano cori ed espongono striscioni in suo onore. Sconvolge la dirigenza biancoscudata ed i suoi ex compagni che si adoperano sin da subito per organizzare un'amichevole benefica post stagionale in sua memoria contro il Thiene. Sconvolge anche il suo caro amico Cartini, che l'estate successiva sceglie di retrocedere addirittura in Eccellenza accettando la proposta del suo vecchio allenatore ai tempi del Giorgione Gigi Capuzzo accasandosi allo Schio. Ma non era quello il calcio che Alessandro sognava da ragazzino. Non era quella la vita che voleva. Tutto emergerà con chiarezza alla fine dell'agosto del 2003. Che qualcosa in lui non andasse, se ne erano già resi conto ad inizio mese i dirigenti dello Schio, quando comunicò loro la sua intenzione di non presentarsi al ritiro precampionato della squadra, cosa che puntualmente avvenne. Poi, nella notte tra il 29 ed il 30 agosto, il fulmine a ciel sereno: il suicidio. Come il padre quando lui era ancora ragazzino. Scelta meditata da tempo. Scelta studiata nei minimi particolari, ma mai esternata, tanto che anche dopo l'autopsia i familiari continuarono a credere si fosse trattato di omicidio. Eh sì, nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Tanto più dopo averlo visto passare una serata di svago al Bingo con gli amici. Invece no. Cartini dentro di sé covava una terribile depressione. Una carriera ormai giunta al capolinea, senza più alcuna speranza di risalita a ventinove anni. Una figlia di cinque anni alla quale indirizzava lettere tristi e malinconiche avuta da una ragazza mai sposata e con la quale non conviveva più da tempo. La mancanza di una sistemazione stabile, costretto dagli eventi a trasferirsi ad Eraclea, ospite della sorella e del cognato. O forse c'era anche dell'altro, compresa la scomparsa del suo amico Maci. Insomma, il mondo – come si suol dire – gli era proprio cascato addosso. In maniera insopportabile. Ecco allora il tragico piano, lucidamente messo in pratica: impiccagione ad uno degli alberi della piazza di Eraclea, dopo essersi legato le mani con una delle cinture di sicurezza della sua auto per evitare ripensamenti dell'ultimo istante. Incredulità generale nell'apprendere la notizia da parte di tutti coloro che lo avevano conosciuto.Dopo sedici mesi dall'incidente di Maci, anche Alessandro lascia dunque i suoi cari. Ma, a differenza di Ossari, lo fa con animo triste e disperato, non con il sorriso di una festa-salvezza.Per chiudere questo loro ricordo, ci affidiamo alle parole riportate sul libro “Biancoscudo” da due persone che Alessandro e Maci li conoscevano bene. Così De Franceschi ricorda Cartini: “Era un ragazzo promettente, tanto da raggiungere la prima squadra in giovane età. Era solare, sempre sorridente, pieno di voglia di emergere e di realizzarsi nella vita. Di lui sono ancora vivi in me ricordi di un ragazzo sensibile. Ecco, questo era forse il suo limite caratteriale, una fragilità nascosta. Dopo un errore o in un momento negativo aveva bisogno di una carezza, di una pacca sulla spalla, di un incoraggiamento. Non so spiegarmi cosa possa essere scattato in lui per aver compiuto un gesto quale il suicidio, la sua scomparsa mi ha scosso”. Questa invece la testimonianza di Carlo Sabatini su Ossari: “L'ho allenato nei Giovanissimi e negli Allievi nazionali. E' stato due anni con me, poi ne ho seguito direttamente l'ascesa in prima squadra. Educazione, volontà, determinazione nel fare le cose: Maci era tutto questo, un ragazzo d'oro. Impossibile trovargli un difetto, ricordo di non averlo mai rimproverato: semplicemente, non dava modo nemmeno di alzare la voce con lui. La nostalgia di questo ragazzo è ancora troppo viva per non fare male”.
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Alessandro Cartini e “Maci” Ossari, due amici con il Biancoscudo nel cuore accomunati da un triste destino
Flash dal passato: momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
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