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Per tentare di definire Ezio Vendrame potremmo usare numerosi aggettivi, ma nessuno di essi riuscirebbe a descriverlo abbastanza esaurientemente. E' stato uomo, prima che personaggio, artista prima che calciatore. Amante della vita, delle donne e della poesia. Il calcio? Poco più di un passatempo. “Gioco per i soldi, il resto non mi interessa”, dichiara più volte. Innumerevoli gli aneddoti meritevoli di essere raccontati, la maggior parte dei quali narrati dallo stesso Vendrame nei suoi libri. Come scrive Paolo Donà in “Biancoscudo”, Ezio Vendrame fa storia a sé.Una storia che inizia il 21 novembre 1947, giorno della sua nascita, a Casarsa della Delizia, provincia di Pordenone. In famiglia i soldi sono pochi ed il piccolo Ezio capisce presto di essere di troppo e così, all'età di sei anni, si ritrova in orfanotrofio. Biglietto di sola andata. Tra quelle mura, che sono come sbarre, Ezio trascorre la sua infanzia. Un'infanzia difficile. “Di quell'istituto ricordo la fame, la paura, le pipì che facevo nel letto, le angherie dei più grandi, ma soprattutto quell'abisso, quel vuoto immenso dell'Assenza”. Queste le parole che lo stesso Vendrame riporta nel suo più celebre libro: “Se mi mandi in tribuna, godo”. Dopo anni di sofferenza, “non so se per compensazione o per fatalità” – scrive – la sua vita cambia: all'età di tredici anni, durante la colonia estiva del collegio, le sue doti calcistiche vengono notate dal medico sociale dell'Udinese. E' l'inizio di una nuova vita. E' l'inizio della sua carriera.Dopo la trafila nelle giovanili della squadra bianconera, Vendrame viene acquistato dalla SPAL, all'epoca in Serie A. Le sue apparizioni in maglia biancazzurra sono limitate, ma a lui interessa poco. Ha infatti conosciuto il suo primo amore: Roberta, sua coetanea. Ma c'è un problema: è una prostituta. Paolo Mazza, presidente degli spallini, scopre la tresca e manda Vendrame “in esilio” in Sardegna per vestire la casacca della Torres, in Serie C. Nella poco vivace Sassari, Ezio non si trova bene. Vuole evadere. E ci riuscirà anche questa volta. La stagione successiva, infatti, eccolo nuovamente venire ceduto in prestito (“forse per farmi continuare a scontare le mie vecchie pendenze d'amore”, commenta), questa volta al Siena. Dopo un campionato da protagonista in bianconero, la stagione successiva passa a titolo definitivo al Rovereto, sempre in Serie C. Nella cittadina trentina, però, Vendrame entra in contrasto con l'allenatore Lamberto Giorgis: “Sembrava un ufficiale della Gestapo, me lo trovavo in casa quasi ogni sera”. Uno spirito libero come lui non ci sta. Non ci può stare. Decide dunque di congedarsi dalla società, così da concludere la stagione con sole nove presenze all'attivo. Quanto basta però per farsi notare dal Vicenza di Giussy Farina; l'accordo non tarda ad arrivare e nella stagione 1971-1972 Vendrame è pronto per la Serie A.I tifosi biancorossi imparano presto a conoscerlo e, grazie al suo spiccato anticonformismo, al suo aspetto da hippie e alla sua spontaneità, diventa fin da subito il loro idolo. Il tutto mentre mette in mostra le sue pregevolissime qualità tecniche. Molti lo iniziano a definire “il George Best” italiano (paragone azzeccatissimo data la classe calcistica e la passione per il mondo femminile di entrambi), Boniperti lo paragona a Mario Kempes, e tuttora c'è chi sostiene che sarebbe diventato il numero uno se solo si fosse concentrato appieno sul calcio. Questo però non sarebbe stato Ezio Vendrame. Le sue prestazioni risultano infatti altalenanti. Molti i match disputati sottotono, altri sono però una delizia per gli amanti del pallone. Dopo tre stagioni alla Lanerossi, per Vendrame si fanno sentire le sirene dei top clubs: a spuntarla è il Napoli, che lo soffia all'Inter nel novembre del 1974. L'allenatore dei partenopei è il brasiliano Luis Vinicio, il quale, prima ne richiese l'acquisto, poi lo escluse regolarmente dalla formazione titolare per tutto l'arco della stagione. “Per invidia, siccome tutti i tifosi cantavano il mio nome”, ipotizza Vendrame. Il Napoli quell'anno termina il campionato al secondo posto alle spalle della Juventus, Vinicio viene riconfermato sulla panchina partenopea, dunque Vendrame non aspetta altro che tornare in Veneto, e nell'estate del 1975 approda all'ombra del Santo. Il fautore principale del trasferimento è Giussy Farina, suo vecchio presidente all'epoca del Vicenza, che quella stessa estate diventa il proprietario di un Padova che da ormai sei anni vivacchiava in Serie C.L'avventura biancoscudata di Vendrame durerà il tempo di due stagioni, terminate con un dodicesimo e un tredicesimo posto alquanto mediocri. Con lui in campo, però, in quegli anni però all'Appiani non c'è pericolo di annoiarsi: Sandokan (così viene ribattezzato dai tifosi padovani) si rende infatti spesso protagonista di episodi inimitabili, episodi che solo lui può regalare. I due più celebri risalgono alla fine della stagione 1976-1977, la sua ultima in biancoscudato.Il primo in ordine cronologico è datato 9 maggio 1977, Padova-Udinese, 33a giornata. Alla vigilia della sfida i friulani si trovavano al secondo posto a quota 45 punti, uno in meno della Cremonese capolista, mentre i biancoscudati navigavano nelle placide acque del centro-classifica. La settimana antecedente al match un emissario della squadra friulana contatta dunque Vendrame per “comprare” una sua prestazione scadente. L'offerta è di sette milioni di lire. Una cifra molto elevata, specialmente tenendo conto del fatto che all'epoca la società biancoscudata non viveva certo periodo florido dal punto di vista finanziario e che i giocatori ricevevano i premi federali minimi di 22000 lire al punto. 44000 lire per vincere, sette milioni per perdere. “Ho giocato tante volte male in vita mia senza che nessuno mi abbia mai dato nulla, figuriamoci se non posso farlo una volta in più”, dice. Vendrame accetta. Il malloppo gli sarebbe stato consegnato il lunedì successivo. “Ma mi sentivo confuso – scrive Sandokan – avrei tradito i miei compagni, l'allenatore Toni Pin, i tifosi, ma soprattutto la mia coscienza. Lo stadio Appiani quella domenica era stracolmo di pubblico composto quasi per intero da tifosi friulani. E fu quel pubblico di ingrati conterranei che, come entrai in campo, mi coprì di improperi e di insulti”. Vendrame si ribella, Vendrame cambia idea. In nome della sua dignità rinuncia dunque ai 7 milioni e trascina il Padova alla vittoria per 3-2 siglando una doppietta. Una delle due reti arriva addirittura direttamente da calcio d'angolo: Sandokan posiziona il pallone sulla lunetta, si soffia il naso con la bandierina del corner, (“Vi pare bello vedere quei giocatori che si puliscono il naso con le mani? Ero lì per battere un calcio d'angolo, e mi sembrò più fine, se vuoi anche più educativo, usare la bandierina a mo' di fazzoletto”, dichiara) e infine sfida i tifosi friulani “ adesso vi faccio gol da qua”. E ci riesce. “Avrei potuto giocare contro il mondo intero, contro Dio stesso. Quel giorno non ce n'era per nessuno”, prosegue in “Se mi mandi in tribuna, godo”.Il secondo episodio avviene invece due settimane più tardi, alla quartultima giornata, sempre all'Appiani, questa volta contro la capolista Cremonese. Il capitano dei grigiorossi, Emiliano Mondonico, prima della partita avvicina Vendrame, capitano dei biancoscudati, e gli propone di accordarsi per un pareggio. Vendrame si confronta con mister Pin: il Padova è ormai salvo, “si può fare” è la risposta. Dopo i primi minuti di gioco il pubblico dell'Appiani capisce l'antifona e comincia a fischiare e a sbadigliare. Sandokan si sente in colpa, quella è la sua gente, non può deluderla con quella vergognosa melina, allo stesso tempo però deve rispettare i patti. “Le devo dare un'emozione” pensò. Vendrame prende palla nella metà campo avversaria, si invola verso la sua stessa porta scartando i propri compagni di squadra, si presenta davanti a Rottoli, il portiere, finge di calciare e, dopo essersi fermato sulla linea di porta, torna indietro, travolto dal fragore degli applausi dell'Appiani. Un tifoso con problemi cardiaci, però, non regge all'emozione e viene colto da un infarto che gli sarà fatale. “Ma com'è possibile – pensai – ci dev'essere una ragione se un malato di cuore viene a vedere proprio me! E quindi dedussi che forse quel signore aveva deciso di suicidarsi”, scriverà Vendrame.Ma gli episodi curiosi della parentesi biancoscudata del fantasista friulano non si limitano certo a questi. In una partita dell'autunno del '76 ad esempio, all'Appiani viene a vederlo giocare il suo più fraterno amico: il cantautore e poeta livornese Piero Ciampi. Non appena Vendrame lo nota, prende il pallone sottobraccio e si avvicina alla tribuna per salutarlo e per rendergli omaggio di fronte agli altri spettatori. “Piero Ciampi mi ha stravolto la vita. Le ha dato un senso. Di fronte a un poeta così, una partita di calcio diventa cosa volgarissima”, dichiara. Poco importa dunque se l'arbitro gli rifila un cartellino giallo. Sempre nella stagione 1976-1977 poi, Vendrame si mette d'accordo con allenatore, compagni e dirigenti per organizzare un “pesce d'aprile prolungato” al suo amico Gianni Montagna, detto Kubala. Per una decina di giorni infatti, Kubala partecipa alle partitelle d'allenamento della squadra e Vendrame e compagni si lasciano ingannare da tutte le sue finte, facendogli credere di essere alla loro altezza.Dopo 57 presenze e 8 reti in biancoscudato, Sandokan passa poi all'Audace San Michele (altra squadra di Farina), sempre in Serie C. L'estate successiva incece, rifiuterà le ricche avances dell'Al Hilal, club degli Emirati Arabi nel quale militava Rivelino, e dei Los Angeles Aztecs, la squadra di George Best, (chissà quante ne avrebbero combinate quei due insieme...) per tornare a casa, in Friuli, a giocare nel Pordenone prima e nello Juniors Casarsa poi. In seguito, dopo aver appeso le scarpette al chiodo, allena per tre anni i ragazzi del settore giovanile del Pordenone, per uno quelli del Venezia e successivamente quelli della Sanvitese. Si dedica inoltre a comporre poesie, scrivere libri e suonare la chitarra. Queste sono infatti le passioni di Ezio Vendrame, personaggio unico del calcio italiano. Ecco, è forse questo l'aggettivo più adatto per descriverlo adeguatamente.
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