E' una sorta di riflesso pavloviano tutto biancoscudato: dici Carlo Sabatini e ti viene in mente Busto Arsizio, ti viene in mente Trieste, ti vengono in mente emozioni, festeggiamenti, traguardi insperati e quant'altro. Perché sotto la regia del tecnico perugino poteva succedere di tutto, il colpo di scena era sempre dietro l'angolo. Ma il finale si rivelava sempre a lieto fine. Dopotutto, questo sono state le stagioni 2008-2009 e 2009-2010: pellicole indimenticabili. Veri e propri miracoli sportivi. E pensare che fino al marzo 2008 il loro artefice sedeva solamente sulla panchina della Berretti. Poi, la grande occasione di passare alla guida della prima squadra, coronando così un sogno cullato per diciotto anni. Eh sì perché Sabatini arrivò all'ombra del Santo già nel 1990 dalla sua Umbria per allenare i giovani del vivaio biancoscudato, fungendo anche da tutor ai ragazzi della foresteria della Guizza, tra i quali nei primi anni un certo Alex Del Piero, che così lo definirà su “Biancoscudo”: “Era severo ma anche comprensivo, un vero punto di riferimento per noi ragazzi, anche se a ping pong ero più forte di lui”. In seguito, dopo una parentesi nel settore giovanile del Venezia ed una biennale esperienza nello staff dell'Udinese a contatto con allenatori del calibro di Cosmi, Allegri, Sensini, Galeone e Malesani, ecco il timone della Berretti biancoscudata, con cui iniziò ad ottenere sin da subito ottimi risultati. Proprio quelli che il presidente Marcello Cestaro, al momento della sua “promozione”, si auspicava potesse far registrare anche la prima squadra, così da rientrare prontamente in quella zona playoff abbandonata a seguito della sconfitta esterna sul campo del Venezia del 16 marzo che era costata la panchina ad Ezio Rossi. Ed in effetti, i primi risultati ottenuti dal nuovo tecnico risultarono più che confortanti: tre vittorie consecutive su Sassuolo (capolista), Verona e Pro Patria, più pareggio per 1-1 nello scontro diretto sul campo del Foggia quinto in classifica. Ed il piazzamento playoff tornò dunque ad essere una piacevole realtà. Tanto più se all'Euganeo, alla terzultima di campionato, era in procinto di presentarsi la modesta Pro Sesto. Quarto successo della gestione Sabatini? Per niente. Lombardi vincitori per 2-1 con reti di Vignati e Musetti. Una sconfitta che si rivelò fatale. Dopo un buon 1-1 esterno nella tana della Cremonese seconda in classifica, infatti, a nulla valse il pirotecnico 6-4 ottenuto all'ultima giornata contro la Cavese: il Padova perse il treno-playoff per un solo punto nei confronti del Foggia. Ma in ogni caso i risultati ottenuti dal nuovo tecnico parlavano chiaro: sembrava esserci una buona base su cui lavorare in vista della stagione successiva. Una base puntellata nel corso del mercato estivo dal DS Mauro Meluso con gli arrivi dei terzini Carbone e Falsini (un ritorno), del talentuoso centrocampista scuola Juve Pederzoli, e degli attaccanti Filippini e Gasparello. Invariata invece la rodata ossatura formata dai vari Cano, Faisca, Bovo, Baù, Rabito, Di Nardo e Varricchio. Risultato? Un gruppo ben assortito, pronto a conquistare quantomeno i playoff. Ed a confermare le ottime sensazioni emerse in sede di mercato ci pensarono subito le prime gare della stagione, che videro gli uomini di Sabatini qualificarsi per il quarto turno di Coppa Italia sul campo del Catania dopo aver superato il Pontedera all'Euganeo con un roboante 8-0, il Piacenza al Garilli per 1-0 ed addirittura il Chievo (squadra di Serie A) al Bentegodi per 2-1, grazie ad una pregevolissima doppietta dell'Airone Varricchio. “Squadra tonica, brillante, mai timorosa”. Così veniva descritta alla vigilia dell'inizio del campionato la nuova creatura biancoscudata. Non ci fu dunque di che stupirsi nel vedere il Padova passare già in vantaggio per 3-1 dopo 30' nel corso della prima gara del torneo sul campo del Legnano grazie ad una tripletta di “Roger” Rabito. Poi però, il vento girò: rete di Lanteri al 40', pari di Nizzetto in avvio di ripresa, e remuntada lilla completata a dieci minuti dal termine dal figlio d'arte Francesco Virdis. Ma per fortuna ci pensò Varricchio in zona Cesarini a fissare il punteggio sul 4-4 finale. Non certo un risultato di cui andar fieri, visto l'iniziale vantaggio. E la domenica successiva non andò poi tanto meglio, con un mediocre 2-2 interno contro il Lumezzane, seguito poi dal brusco tonfo sul campo del Novara (3-0 il finale) al terzo turno e dall'eliminazione in Coppa Italia per mano del Catania (4-0 al Massimino). Sabatini salì sul banco degli imputati, l'entusiasmo di qualche settimana prima sembrava ormai solamente un ricordo. Ma inaspettatamente i biancoscudati rialzarono la testa, reagendo alle critiche: 3-0 all'Euganeo alla Pro Sesto, vittoria di misura nel derby del Bentegodi contro l'Hellas grazie ad una rete di Bovo, e 3-1 in scioltezza all'Euganeo sulla matricola Portogruaro. Il Padova era tornato a marciare? Non proprio, dato che nelle successive quattro giornate Faisca e compagni ottennero una sola vittoria (all'Euganeo contro il Cesena) a fronte di due sconfitte ed un pareggio. Insomma, ai biancoscudati mancava la continuità, caratteristica imprescindibile per chi punta a condurre un campionato di vertice. Ecco perché, nonostante ne avesse difeso a spada tratta l'operato per tutto il girone d'andata, il presidente Cestaro scelse di esonerare Sabatini dopo la prima gara del girone di ritorno (un deludente 0-0 interno contro il Legnano seguito da pesanti contestazioni della tifoseria) con la squadra sesta in classifica, capace di portare a casa i tre punti in una sola occasione nei precedenti cinque incontri. Ma la rivoluzione non terminò qui: via anche il ds Meluso (mai completamente entrato nelle grazie dell'imprenditore vicentino), che nel frattempo, nei primi giorni del mercato di riparazione, aveva portato all'ombra del Santo due pedine che si riveleranno assai preziose nel finale di stagione: il centrale brasiliano Cesar ed il muscolare centrocampista italo-nigeriano William Jidayi, entrambi in prestito con diritto di riscatto della comproprietà rispettivamente da Chievo e Sassuolo. Ma quali figure mettere sotto contratto per sostituire i due “silurati”? La scelta ricadde presto su Attilio Tesser, reduce da alcune non esaltanti esperienze in Serie B alla guida di Ascoli e Mantova, e Doriano Tosi, ex ds di Modena, Parma e Torino. Nomi importanti per la Serie C (o meglio, proprio da quella stagione, Lega Pro). L'obiettivo? Riconquistare stabilmente i playoff, che d'altra parte rimanevano lì, a portata di mano, ad un solo punto di distanza. Missione fallita: deludente 0-2 sul campo del Lumezzane, estemporanea vittoria interna sul Novara, e due nuove sconfitte consecutive patite per mano di Pro Sesto e Verona, per giunta in quest'ultimo caso di fronte al proprio pubblico con le maglie celebrative del centenario. La situazione era più delicata che mai: tifosi caddero nello sconforto, i media puntarono il dito un po' contro tutti, accusando i giocatori di concentrarsi più sulle piste delle discoteche che sul terreno di gioco. Per fortuna, però, anche le concorrenti playoff dei biancoscudati non inanellarono risultati trascendentali, rimanendo così a breve distanza dagli uomini di Tesser. Un Tesser che però non avrebbe dovuto steccare la sua quinta gara sulla panchina del Padova sul campo del Portogruaro. Ma così fu: 0-0 finale e benzina sul fuoco a critiche, fischi e contestazioni. Nonostante ciò, nella sala stampa del Mecchia, Cestaro fu categorico: “Continuiamo con Tesser”, salvo poi cambiare idea sulla strada del ritorno su consiglio del dg Sottovia. Ecco quindi il ritorno di Sabatini, il “ragazzo capellone”, come lo soprannominava scherzosamente il presidente biancoscudato. Scelta assolutamente azzeccata, lo si capì già da subito, data la grande voglia di riscatto del tecnico perugino, determinato a portare a termine il lavoro iniziato l'anno precedente alla guida della squadra. Naturale conseguenza di ciò, due pesantissime vittorie consecutive ottenute nel derby contro il Venezia (0-1, gol di Varricchio) ed in casa sulla Sambenedettese che fecero tornare il Padova in zona playoff, al quinto posto, seppur in coabitazione con Novara e SPAL. Tutto era ancora in gioco. Il problema era che la gara successiva, in programma per il 23 marzo, avrebbe visto i biancoscudati andare a fare visita al Cesena capolista. E l'esito fu quello temuto: 2-1 in favore dei padroni di casa, complice un arbitraggio obiettivamente sfavorevole da parte del signor Magno di Catania. Se poi ci aggiungiamo uno 0-0 nello scontro diretto con la SPAL quinta in classifica (a più tre sulla banda-Sabatini) ed un KO per 3-2 – sempre di fronte al proprio pubblico – contro il Ravenna maturati nelle successive due giornate, ecco che il Padova si ritrovò, a sole cinque gare dal termine dei giochi, distanziato di ben 6 punti dalla zona playoff. Un divario sostanzioso, probabilmente insormontabile, data la cronica discontinuità di risultati da parte della squadra, nuovamente fatta oggetto di contestazione da parte dei tifosi. Praticamente briciole in confronto a ciò che accadde nella settimana successiva alla sconfitta contro il Ravenna, quando, al giovedì, Varricchio e Pederzoli si resero protagonisti di un acceso diverbio con un giornalista della carta stampata, prontamente emulati ventiquattr'ore più tardi dal presidente Cestaro, che poco prima della partenza del pullman della squadra verso Cremona si avventò furiosamente al collo di un altro cronista, riportato poi alla ragione solamente grazie all'intervento del corpulento magazziniere Piero. Scene da far west, clima più che mai lontano da quello consono ad una squadra alla ricerca di risultati importanti. Ma si sa, il calcio non è matematico. Non vive di leggi fisse né tanto meno razionali. Perché di lì in poi il Padova inserì la marcia giusta e non si fermò proprio più, andando a vincere, trascinato da un super Varricchio, le successive cinque gare contro Cremonese (0-1), Monza (3-1), Pergocrema (0-1), Lecco (2-1) e Reggiana (0-1), riuscendo così, dopo l'exploit in terra emiliana, a rientrare prepotentemente in zona playoff, a più tre punti sulla SPAL sesta in classifica. Insomma, all'ultima giornata sarebbe bastato anche un pari per qualificarsi agli spareggi. Impresa certo non scontata, essendo attesa all'Euganeo la Pro Patria seconda in classifica, ancora in corsa per il primato.La città era in fermento. Nel giro di poche settimane la situazione si era letteralmente capovolta: dalle contestazioni si era passati agli applausi, dai disfattismi alle speranze, dalle tensioni all'entusiasmo. Sulle note di “Forza Padova”, vecchio inno biancoscudato rispolverato la settimana precedente in occasione della trasferta di Reggio Emilia da Antonio Ammazzagatti, il radiocronista ufficiale, quel 17 maggio si presentarono all'Euganeo in oltre 10000, pronti a trascinare la squadra verso un traguardo insperato. In campo fu partita vera, la Pro Patria carburò gradualmente, poi tentò più volte di sbloccare il punteggio, ma Cano si rivelò letteralmente provvidenziale. Ed anzi, a 13' dal termine fu Filippini a sfiorare la rete colpendo la traversa con una bordata di controbalzo dai venti metri. Ma alla fine, il punteggio rimase inchiodato sullo 0-0. Il Padova approdò ai playoff, nonostante tutto. E lo fece addirittura da quarto classificato, alla luce del miglior computo negli scontri diretti nei confronti della Reggiana, che chiuse anch'essa a quota 54 punti. Morale? La semifinale avrebbe visto i biancoscudati misurarsi con il Ravenna. Proprio quel Ravenna che un mese e mezzo prima, espugnando l'Euganeo, aveva fatto precipitare le chances promozione dei ragazzi di Sabatini. Invece loro erano incredibilmente lì. Lì a giocarsi la promozione in Serie B con il vento in poppa.Andata in programma all'Euganeo il 31 maggio. Vincere l'imperativo: in caso di parità al termine dei 180 minuti, a passare in finale sarebbe stata la miglior classificata, ossia la compagine romagnola. La gara partì subito a mille: a sbloccare il punteggio ci pensò dopo nemmeno dieci giri di lancette il sempre determinante Max Varricchio, l'Airone, abile a trafiggere Brignoli su servizio dalla destra di Totò Di Nardo, per la felicità degli 8000 dell'Euganeo. Ma la gioia durò poco. Giusto il tempo di vedere Zizzari, sette minuti più tardi, ristabilire la parità finalizzando alle spalle di Cano una geniale verticalizzazione di Leonardo Pettinari. Nel prosieguo della partita, tante ottime iniziative, un palo per parte ed una clamorosa palla gol fallita a pochi minuti dal triplice fischio da parte di Varricchio. Ma il punteggio non si smosse dall'1-1, risultato che avrebbe obbligato i biancoscudati ad espugnare il Benelli per continuare a sognare la promozione. A sostenere Faisca e compagni verso una nuova impresa, sette giorni più tardi accorsero in Romagna più di 2000 cuori biancoscudati. In campo, però, il punteggio pareva non volersi proprio sbloccare, e le squadre rientrarono negli spogliatoi all'intervallo ancora sullo 0-0. Serviva un episodio, una giocata vincente per aprire le marcature. L'occasione giusta sembrò presentarsi in avvio di ripresa, quando il direttore di gara Carbone di Napoli sanzionò un calcio di rigore in favore dei biancoscudati per un fallo di mano commesso da Sabato. Ma Pederzoli, presentatosi sul dischetto, calciò malissimo: debole e centrale il suo tiro, facilmente neutralizzato dal portiere di casa. Niente paura però, perché i tempi erano ormai maturi: a portare in vantaggio il Padova ci pensò infatti una manciata di minuti più tardi l'unico acquisto del ds Tosi, il centrocampista rumeno Bogdan Patrascu, con uno splendido calcio di punizione mancino dal limite dell'area ad insaccarsi sul sette alle spalle di Brignoli. Tutto a quel punto stava dunque nel difendere il vantaggio. In questo senso, Cano si rivelò miracoloso al 71' nel deviare in corner una calibratissima punizione di Sciaccaluga. Ma nulla poté 5' più tardi su una zampata del solito Zizzari che riportò il punteggio in parità sugli sviluppi di un calcio di punizione dalle retrovie. Sembrava la fine del sogno per il Padova. “Hai voglia a riuscire a segnare un'altra volta...”, si mormorava in curva. Nulla di più sbagliato: palla al centro, Varricchio indietro per Patrascu, servizio corto del rumeno in direzione di Bovo, che girò di prima su Rabito, abile a lanciare in avanti lo stesso Varricchio, nel frattempo proiettatosi nei pressi dell'area avversaria. A raccogliere la sponda dell'Airone fu Jidayi, in anticipo su un difensore ravennate. C'era Falsini totalmente libero sul secondo palo, Willy lo vide con la coda dell'occhio e gli servì il pallone. Di fronte al “Sindaco”, solamente la porta. Sguarnita. La coordinazione, il tiro, il clamoroso palo, la sfera che tornando indietro rimbalzò sulla spalla del terzino biancoscudato e terminò in rete. Era il 2-1. Era un gollonzo che sarebbe passato alla storia, a concludere paradossalmente nel migliore dei modi un'azione da manuale. Una rete che si rivelò decisiva, perché il punteggio non mutò più. Mai vista una stagione così pazza, poco ma sicuro.Sembrava incredibile, ma il Padova era in finale playoff, a un passo dal paradiso. Ultimo ostacolo, la temibilissima Pro Patria, che aveva avuto la meglio nella propria semifinale sulla Reggiana, e che era stata al comando della classifica per gran parte della regular season. Che formazione, quella bustocca, guidata da un tecnico in rampa di lancio come Franco Lerda. Una formazione che poteva contare in difesa sul duo centrale scuola Juve Pisani-Urbano, oltre che sull'esperto terzino bosniaco Vedin Music, vecchia conoscenza biancoscudata. Dalla cintola in su, poi, tutti elementi capaci di fare la differenza: da Dalla Bona a Cristiano, da Correa a Toledo, passando per Fofana e Do Prado. Insomma, una vera e propria armata, per giunta galvanizzata dalle ottime notizie appena giunte dal fronte societario, con l'acquisizione all'ultima udienza utile dell'intero pacchetto azionario da parte della famiglia Tesoro, dopo il fallimento avvenuto due mesi prima sotto la presidenza di Giuseppe Zoppo. Ma il Padova certo non era squadra da farsi intimidire. Specialmente dopo una cavalcata del genere.Ecco dunque già al 9' della gara d'andata che i biancoscudati, spinti dagli oltre 12000 dell'Euganeo, si guadagnarono un calcio di rigore grazie a Di Nardo, vistosamente trattenuto per la maglia da Polverini. A chi l'onere di piazzare il pallone sul dischetto? In assenza di Pederzoli, toccò a Rabito. Ma poco cambiò, la maledizione continuò: palla centrale e parata facile per il portiere avversario, Giambruno. Un vero delitto aver fallito il penalty. Anche perché, nonostante le numerose occasioni prodotte in seguito da entrambe le squadre, il finale risultò lo stesso di quello maturato all'ultima di campionato: 0-0. E per il Padova si profilava dunque la necessità di realizzare l'ennesima impresa esterna. L'ultima, la più pesante. Quella decisiva.Era il 21 giugno la data da cerchiare sul calendario. Furono però solo 600 i tifosi biancoscudati che riescono ad impossessarsi di un biglietto per la trasferta dello Speroni. Tutti gli altri, insieme a soffrire di fronte alle televisioni o al maxischermo allestito per l'occasione in Prato della Valle con la voce di Antonio Ammazzagatti. La gara si rivelò subito vivace, il Padova cercò di spingere alla ricerca del gol, ma fu la Pro Patria a rendersi maggiormente pericolosa nel corso della prima mezz'ora di gioco con Toledo e Fofana, costretti però a fare i conti con un Cano come al solito insuperabile. Poi, al 41', ecco ciò che non ti aspettavi: espulsione di Di Venanzio per doppio giallo e squadre negli spogliatoi in undici contro dieci. Sarebbe servito un miracolo per vincere la partita. Per non vanificare la cavalcata partita oltre due mesi prima. Per tornare dopo undici anni in Serie B. Sabatini lo sapeva, e negli spogliatoi suonò la carica. Non a caso nella ripresa i biancoscudati scesero in campo “con la bava alla bocca”, mettendo progressivamente alle corde una Pro Patria sempre meno incisiva, forse ormai certa del buon esito della gara. A punirla puntualmente ci pensò quindi, a 9' dal termine, Totò Di Nardo, che ribadì in rete di testa (proprio lui, alto nemmeno 1 metro e 65) una ribattuta corta di Giambruno su incornata di Varricchio sugli sviluppi di una punizione dalla sinistra di Patrascu. Gioia pura per i tifosi padovani. Mazzata micidiale per gli uomini di Lerda. Così, soli quattro minuti più tardi, ecco il raddoppio di Totò, assurto ormai ad eroe, abilissimo ad approfittare dell'immobilità della retroguardia di casa su un lancio alla bell'e meglio di Bovo e ad insaccare a porta vuota il gol del 2-0. Apoteosi. A nulla valse il gol dell'1-2 messo a segno da Urbano negli ultimi minuti di gioco.Alle 17.50, ecco dunque l'annuncio di Antonio Ammazzagatti, quello che tutti avrebbero voluto ascoltare: “E' finita, è finita! E' Serie B, è Serie B, è Serie B! Esplode il tifo biancoscudato, dopo undici anni di delusioni e di bastonate sui denti! Il Padova torna in Serie B nella maniera più difficile, contro tutto e tutti, in dieci contro undici a Busto Arsizio di fronte ai propri 600 tifosi!”. Sono le parole che fanno da sottofondo allo scoppio del delirio più totale in Prato della Valle, dove la festa-promozione prese subito il via per poi terminare solamente a tarda sera, quando furono in almeno 5000 ad accogliere in città i propri beniamini, gli eroi di Busto, di ritorno dallo Speroni. “Ho sempre avuto la convinzione che quel gruppo ce la potesse fare. Anche dopo le sconfitte più amare”. A scrivere queste parole su “Biancoscudo”, chi, se non lui? Carlo Sabatini. L'artefice del trionfo biancoscudato. “Ho avuto fiducia nei miei ragazzi anche dopo la sconfitta interna con il Ravenna, quella che sembrava averci tagliato fuori da tutto. Dopo il 90', con ancora quel 3-2 da metabolizzare, ho incrociato gli sguardi della mia squadra nello spogliatoio. Rassegnazione? No, macché, tutt'altro. Ora o mai più, questo dicevano quegli occhi. E così è stato. In un lampo ci siamo ritrovati a giocarci tutto a Busto. Lì dove finalmente ho realizzato il mio sogno: quello di vincere in una città, per una società ed una tifoseria alle quale sarò legato a vita. E' tutto vero, anche se a volte devo darmi un pizzicotto per rendermi conto che è davvero così”.Ma una volta trascorso il dì di festa, ci si dovette però rendere presto conto di un particolare: c'era una Serie B alle porte da affrontare al meglio. Alla prossima puntata…
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Il Padova e Carlo Sabatini, una storia vincente [parte 1]: la conquista della Serie B
Flash dal passato, momenti di storia biancoscudata nella nostra rubrica del lunedì
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