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OLTRE i 90′ | 28 giugno 1997, Calcio 1 – Pugilato 0

OLTRE i 90′ | 28 giugno 1997, Calcio 1 – Pugilato 0

A spasso tra i ricordi di un giovane tifoso degli anni ’90

Giacomo Stecca

Avete presente Febbre a 90’, il film del 1996 diretto da David Evans e tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby?

All’inizio della pellicola il protagonista Paul Ashworth, ancora ragazzino, ha una discussione in macchina col padre. Il genitore cerca di spiegare al figlio come ci siano innumerevoli interessi nella vita oltre al calcio e come in quella Domenica pomeriggio all’insegna del “father and son” non siano obbligati per forza ad andare allo stadio, ma possano anche scegliere di fare altro, ad esempio visitare uno zoo o vedere un cartone animato al cinema.

Nell’iconica scena della commedia britannica, il ragazzo di circa quattordici anni interpretato da Luke Aikman, sfoggia un’espressione tra il meravigliato e il basito, e chiede a suo papà se per caso non stia scherzando. Il padre gli fa capire che non sta assolutamente prendendosi gioco di lui, asserendo in modo candido che pensava avesse passato da un pezzo la fase del voler andare allo stadio assieme.

Paul lo guarda come si guarda un pazzo e, mentre in sottofondo si fa spazio il capolavoro musicale degli Who, “Baba O’Riley”, esclama le sei famosissime parole: “Noi non supereremo mai questa fase”

Ecco, io mi trovai in una situazione quasi analoga nell’estate del 1997. Al contrario del protagonista inglese, avevo solo una decina d’anni, ma la scena che vissi fu davvero molto simile a quella di “Febbre a 90’”.

Stavo trascorrendo le vacanze estive in quel di Lignano Sabbiadoro quando, dopo l’ennesimo acquisto di una maglia da calcio, quella dell’Udinese di Paolo Poggi per la precisione, mio padre, rimasto a Padova per motivi lavorativi, mi fece una telefonata e cominciò a spiegarmi che quella del calcio, più che una passione, sembrava stesse diventando, per me, una sorta di mania. Come il papà di Paul Ashworth, nel film uscito al cinema l’anno precedente, stava cercando di dirmi che c’era un intero mondo al di fuori del calcio e che, anche a livello sportivo, il football non era l’unica disciplina degna di nota.

Era, neanche a farlo apposta, il 28 Giugno 1997, giorno in cui a Las Vegas si sarebbe disputato l’incontro di pugilato più atteso dell’anno, la rivincita del match di Novembre 1996 tra Mike Tyson ed Evander Holyfield.

Mio padre, grande appassionato della “nobile arte”, colse la palla al balzo e continuando nella sua chiosa disse: “Ad esempio, stasera c’è una cosa che, secondo me, è meglio di una partita di pallone. Un incontro di boxe. Potresti vederlo con tuo nonno domani quando faranno la replica su Italia Uno, no?”

Compresi al volo che non era il momento di contraddire il mio vecchio e risposi che capivo alla perfezione quello che stava cercando di dirmi e che avrei guardato volentieri con il match tra Tyson e Holyfield per farmi un’idea anche di come funzionasse quello sport completamente diverso dal calcio. La risposta sembrò piacergli, e riattaccò il telefono abbastanza soddisfatto.

Il pomeriggio seguente, seduto con mio nonno al tavolo del bar dove eravamo soliti vedere le partite della nazionale italiana, bevevo un frappè alla banana e fissavo, curioso, la gente accomodata accanto a noi. Il target era un po’ diverso da quello calcistico e tutti parlavano di un determinato fattaccio accaduto durante la notte riguardante lo svolgimento del match che stavamo per guardare. Non capivo ancora di cosa si trattasse ma ero sicuro l’avrei scoperto da lì a poco.

La sfida precedente, da quello che mi aveva raccontato mio nonno durante il tragitto spiaggia-bar, si era tenuta più di sei mesi prima sempre a Las Vegas, e aveva sancito il successo di Holyfield per knock-out tecnico all’undicesima ripresa. I manager dei due pugili si accordarono subito per una rivincita che si sarebbe dovuta tenere nell’estate successiva.

Il 28 Giugno per l’appunto.

Il combattimento iniziò subito in modo molto confuso, e io, alla mia prima esperienza televisiva di pugilato non capivo un granché delle dinamiche del match, per fortuna c’era mio nonno il quale mi diede alcune utili delucidazioni e mi fece notare come Holyfield stesse conducendo l’incontro.

Allo scadere del tempo il gigante dell’Alabama riuscì anche a mettere a segno un pesante gancio ai danni di Tyson, e i tre giudici decisero all’unanimità di assegnarli la prima ripresa.

La svolta dell’incontro accadde però nel secondo round. Durante un contatto ravvicinato, i due pugili si scontrarono reciprocamente con la testa; il colpo provocò un taglio sopra la palpebra dell’occhio destro di Tyson. Il pugile di New York si rivolse allora all’arbitro Mills Lane, diventato poi famosissimo grazie a “Celebrity Death Match”, accusando il suo avversario di averlo colpito volontariamente. Lane giudicò invece il contatto come fosse stato involontario, e lasciò proseguire l’incontro fino alla fine del round, senza ammonire Holyfield.

Tyson inizio il terzo round nervoso (per il comportamento effettivamente poco corretto dello sfidante) e senza paradenti. Holyfield se ne accorse e invitò il direttore di gara a fargli indossare il dispositivo di protezione. Da quello che ricordo il boxeur nativo di Brooklyn disputò anche un buon round, riuscendo a colpire in più occasioni il contendente al titolo con ottime combinazioni di colpi ma a circa quaranta secondi dal termine l’incontro cambiò in modo repentino. Mentre i pugili erano a stretto contatto, corpo a corpo, Tyson abbracciò l’avversario e all’improvviso gli morse l’orecchio destro riuscendo a lacerarne un pezzo che successivamente sputò sul ring.

Holyfield inizio allora a perdere sangue e soprattutto a saltellare, in maniera vistosa, a causa del dolore, dovendo far intervenire l’arbitro che chiamò il time out, nonostante non fosse riuscito a vedere in prima persona l’irregolarità dell’azione.

A quel gesto disumano, tutti gli avventori del bar sobbalzarono sulle proprie sedie, e anche se molti di loro, sapevano già cosa fosse successo, avendolo letto sulla Gazzetta dello Sport la mattina stessa, non si sarebbero mai immaginati un’azione di tale brutalità e ferocia.

Ed era solo l’inizio.

Subito dopo il morso, Tyson spinse Holyfield alle spalle, facendolo finire contro le corde rosse. Il match venne quindi sospeso per alcuni minuti, e nonostante l’intenzione dell’arbitro fosse quella di squalificare “Iron Mike”, l’intervento del medico che sancì la possibilità per l’atleta antagonista di continuare a combattere nonostante la ferita, portò l’arbitro a scegliere  “solo” una penalizzazione di due punti per Tyson, e il match poté riprendere.

Al ritorno sul ring, la scena si ripeté quasi come fosse una fotocopia della precedente: durante un altro corpo a corpo, il pugile in pantaloncini neri morse di nuovo l’orecchio (stavolta il sinistro) di “The Real Deal”. A quel punto l’arbitro Lane non ebbe più  nessuna alternativa e dovette sospendere il combattimento e squalificare Tyson, il quale perse del tutto il controllo, cercò di aggredire sia il rivale che l’arbitro, e solo grazie all’intervento della polizia statunitense si riuscirono ad evitare guai peggiori. Il verdetto del direttore di gara sancì ufficialmente la vittoria di Evander Holyfield, che si riconfermò così Campione del Mondo dei pesi massimi WBA.

Al rientro negli spogliatoi, lo sconfitto (in tutti i sensi) fu oggetto di lanci di monetine, cartacce e bottigliette da parte di un pubblico sbigottito, deluso e arrabbiato.

Com’è facile da intuire, si respirava un clima surreale anche nel piccolo bar di Lignano dove, assieme a me, decine di altre persone avevano assistito a quel triste spettacolo.

Sentii la cassiera del locale esclamare: “Questo mica è sport!”

Ed è quello che cercò di spiegarmi mio nonno, con molta calma, mentre camminavamo verso il nostro appartamento.

“Giacomo, io ne ho visti di incontri di pugilato, anche dal vivo, ma mai in vita mia avrei pensato di assistere ad uno scempio del genere! Questa non è la vera boxe. La vera boxe insegna il rispetto per l’avversario, la disciplina, la costanza… Non ti far ingannare da quello che hai appena visto!”

Percepivo come le sue parole fossero sincere, e come lo turbasse davvero avermi fatto “partecipare” ad uno spettacolo del genere. Mi dispiaceva, certo, ma ad essere del tutto onesti, quel pomeriggio estivo, sul lungomare affollato, tornando verso casa, la cosa a cui stavo pensando con più intensità, era a come mio padre, nel cercare di farmi cambiare sport preferito, fosse stato particolarmente sfortunato nella scelta della tempistica.

D’altronde come avrebbe potuto sapere che quello sarebbe stato, molto probabilmente, il picco più basso di scorrettezza sportiva che sia mai stato trasmesso in mondovisione?

Quel 28 giugno 1997 il tabellone luminoso indicava un solo risultato: Calcio 1- Pugilato 0.