Amarcord

OLTRE i ’90 | Gianni Di Marzio, una vita intensa dedicata al calcio

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A spasso tra i ricordi di un giovane tifoso degli anni '90

Giacomo Stecca

Circa due mesi fa, mi svegliai con una notizia che nessun padovano, o amante del calcio e dello sport in generale, avrebbe mai voluto ricevere: all’età di 82 anni se n’era andato l’ex allenatore e dirigente sportivo italiano, Gianni Di Marzio.

Gianni ebbe anche una carriera da calciatore, ma smise di giocare molto presto a causa di un infortunio avvenuto a metà anni ’60 mentre militava nelle file dell’Ischia. Il giovane di Marzio non si fece abbattere da quest’avvenimento e decise che il mondo del pallone avrebbe continuato a essere parte integrante della sua vita, cercò quindi di cambiare ruolo il più velocemente possibile. Detto, fatto! Nel 1968, a meno di un quinquennio dalla sua ultima presenza in campo con i Gialloblu, sedette per la prima volta su un panchina con il ruolo di allenatore. Era il 16 gennaio e Di Marzio debuttò con l’Internapoli nell’allora serie C. Partita contro il Chieti, pareggiata con un goal in rimonta di quello che sarebbe diventato negli anni successivi una bandiera della Lazio: Giuseppe Wilson. Da lì in poi la sua carriera di mister proseguì con la Nocerina, la Juve Stabia e il Brindisi fino ad arrivare alla parentesi felice di Catanzaro. E pensare che tutto era iniziato nel peggiore dei modi: perdette infatti lo spareggio per la promozione in serie A, il 26 giugno del 1975 contro il Verona. Il centrocampista dell’Hellas, ed ex biancoscudato, Roberto Mazzanti regalò la massima serie a tutti i tifosi scaligeri, segnando un goal da antologia al venticinquesimo minuto del primo tempo. Di Marzio non si fece scoraggiare da questa triste conclusione e nella stagione seguente, quella 1975-1976, portò la sua squadra, aiutato dal bomber baffuto, Massimo Palanca, al secondo posto in serie B e al conseguenziale cambio di categoria. Se pensate che rispetto all’anno precedente fu una passeggiata, vi sbagliate di grosso però. Il team del presidente Nicola Ceravolo conquistò la meritata promozione in serie A al minuto ’89 dell’ultima giornata del torneo, sul campo di Reggio Emilia contro la Reggiana. Un epilogo sportivamente drammatico per i reggiani, che retrocedettero in terza serie, e di festa grande per i calabresi. Gianni fu portato in trionfo da un’intera città impazzita di gioia.

L’annata successiva era partita bene, con 13 punti nel girone di andata, ma fu solo un illusione dato che il ritorno con 8 punti raccolti in 15 giornate, compromise tutti i sogni salvezza.

In estate il mister, napoletano doc, tornò trionfalmente a casa. Il presidente partenopeo Corrado Ferlaino puntò su di lui. Lo volle, in quanto giovane allenatore di trentasei anni. Pur con una quantità industriale di nomi nuovi in squadra, la truppa Di Marzio si comportò benissimo in campionato, ottenendo un sesto posto con 30 punti che valse la qualificazione alla Coppa Uefa dell’anno 1978-1979. Il capolavoro di Gianni rimase però incompiuto, perché purtroppo perse 2 a 1 la Finale di Coppa Italia a Roma contro l’Inter l’8 giugno del 1978. Il mister venne esonerato dal Napoli all’inizio del campionato seguente ma trovò subito un nuovo incarico: sedere sulla panchina del Genoa.

Comunque, una delle cose più importanti che Di Marzio fece nel suo periodo partenopeo non è strettamente legata alla panchina. Infatti in un suo viaggio in Argentina fu il primo a capire le doti di un ragazzino di sedici anni che viveva a Villa Fiorita, un certo Diego Armando Maradona. Gli fece fare un provino e, dopo dieci minuti dalla fine di questo mini-allenamento, gli fece firmare un documento per il Napoli. Non riuscì a portarlo subito in Italia perché il patron Ferlaino pensava che quel ragazzo fosse ancora troppo giovane ma il destino era ormai scritto. Il fiuto di Di Marzio come dirigente, che si sarebbe palesato del tutto poco più avanti, aveva già contribuito a scrivere la storia del calcio.

Dopo Genova per l’allenatore ci furono le tappe di Lecce e Catania, prima di arrivare a Padova.

Sulla panchina della nostra squadra il mister sedette solamente per un campionato, quello di serie B del 1984-1985, ma il legame con la nostra città duro molto di più. Gianni rimase a viverci anche dopo il termine dell’avventura a bordocampo e l’inizio di quella da manager, tanto che suo figlio Gianluca crebbe all’ombra del Santo e iniziò la sua avventura lavorativa proprio a Padova, dove cominciò per scherzo a fare le telecronache a casa per allietare i suoi famigliari, arrivando poi a condurre Goal Time su TriVeneta e a seguire i match dei biancoscudati su Telenuovo. Erano gli anni magici della serie A scudata e grazie anche a questa gavetta nelle tv locali Gianluca arrivò a Sky diventando uno dei giornalisti più famosi e seguiti d’Italia.

Un giorno, qualche anno fa, ero in centro e davanti alla libreria Feltrinelli vidi un signore gridare a Gianni: “Grande Di Marzio, sei il numero uno!” E lui rispose con ironia, sorridendo: “Adesso sono il numero due” visto che la popolarità del figlio era in grossa ascesa. Un figlio di cui era molto orgoglioso e che, in pochi sanno, rischiò di non nascere.

La vita di Gianni Di Marzio infatti fu segnata, oltre che da successi professionali, anche da un grave incidente stradale il quale, a parte qualche cicatrice sul volto, fortunatamente non portò a gravi conseguenze. Era il 13 dicembre del 1973 quando la Mini Cooper dell’allora mister del Brindisi sbandò a causa del maltempo sul tratto di autostrada tra gli svincoli di Pompei e Angri e andò a sbattere contro un guardrail subendo un impatto fortissimo. Di Marzio si rese conto in pochi attimi della gravità di quello che stava succedendo e si gettò istintivamente verso destra per proteggere con il corpo sua moglie Tucci incinta di sei mesi, in macchina con lui. Gianni batté il viso contro il parabrezza che finì in frantumi. Il suo volto era una maschera di sangue. La moglie riuscì a uscire dal veicolo e chiedere miracolosamente aiuto sotto quella pioggia battente. Un’automobile di passaggio si fermò e questo significò la salvezza per l’allenatore e la sua consorte. Dopo una corsa disperata verso l’ospedale di Cava di Tirreni e poi verso quello di Salerno arrivarono alla clinica “Ruesch” dove i medici riuscirono a metterlo fuori pericolo e a ricostruire i tratti del viso del mister. Pure il bambino che Tucci portava in grembo venne salvato e nacque, solo qualche mese dopo, anche grazie al coraggio di suo papà.

Una vita coraggiosa e intensa, quella di Di Marzio. Piena di viaggi, incontri, scoperte e amicizie.

Uno dei tanti amici che, il giorno dopo la sua scomparsa ha voluto salutarlo con un messaggio sui social è stato il tecnico del Watford, Claudio Ranieri: “Addio Gianni, sei stato il mio allenatore per 5 anni e mio grande amico per tutta la vita: se sono allenatore lo devo a te. Ora posso solo condividere il dolore di questa tua ultima notizia con Tucci e Gianluca. Mi mancherai tantissimo”. Anche la conduttrice televisiva Simona Ventura gli ha voluto dedicare un pensiero d’addio: “Sono senza parole. Il calcio, quello di cui sono sempre stata innamorata, perde un’altra delle sue colonne. Era speciale, un professionista straordinario. Mi voleva bene. A Tucci e a Gianluca, che me lo ricorda tanto, un abbraccio forte”.

Vorrei concludere questo breve scritto che non voleva essere un “coccodrillo”, ma semplicemente il ricordo di un Uomo di Sport, proprio con le parole di suo figlio Gianluca affidate ai social quel triste giorno di fine gennaio: “E adesso potrai finalmente allenarlo il tuo caro e amato Diego. Sei stato un grande papà, mi hai insegnato tutto e non sarò l’unico a non dimenticarti mai”.

 

 

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