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OLTRE i 90′ | La Lazio di Zeman nella città del Santo

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A spasso tra i ricordi di un giovane tifoso degli anni ’90
Giacomo Stecca
Giacomo Stecca Redattore 

Nella maggior parte dei casi, il periodo più bello della vita di una persona è l’infanzia. Ognuno di noi collega a quella fase della propria esistenza dei ricordi specifici che non scorderà mai più e che si porterà dietro per sempre. I miei “pensieri felici”, come li chiamerebbe lo scrittore britannico J. M. Barrie, risalgono al 1994, l’epoca in cui, per l’appunto, avevo otto anni e trascorrevo le vacanze estive con i miei nonni in quel di Lignano Sabbiadoro, località balneare affacciata sul Mare Adriatico.

In una calda e torrida  estate si stavano disputando i mondiali calcistici americani e io mi immersi in quell’universo, sconosciuto fino ad allora, grazie a mio nonno, il quale cominciò a farmi vedere le prime partite della kermesse iridata, che venivano trasmesse ogni giorno nei vari bar della centralissima Via Venezia. In poche settimane, nomi e cognomi di cui prima ignoravo completamente l’esistenza, divennero per me familiari quanto quelli dei miei compagni di classe. Il giocatore della Nazionale italiana di cui mi innamorai a prima vista fu senza ombra di dubbio Roberto Baggio, che apparve ai miei occhi di bambino come un Supereroe.


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Proprio quando gli azzurri sembravano essere ormai estromessi dalla lotta per portare a casa la Coppa Del Mondo, il Divin Codino prese in mano le redini del comando e con quattro goal in tre match portò la squadra allenata da Arrigo Sacchi alla finalissima di Pasadena. Ho citato Roberto Baggio, come primo amore calcistico, in quanto risulterebbe difficile parlare di un evento sportivo della rilevanza di USA ’94, non soffermandosi sulle prestazioni fuori dal normale sciorinate dall’attaccante di Caldogno, ma se ripenso a quel mese fitto di partite giocate dall’Italia, onestamente non trovo un calciatore, dei ventidue facenti parte della rosa ufficiale, di cui non mi sia appassionato o di cui non abbia seguito la carriera negli anni successivi.

La cosa più incredibile di tutta questa storia sta nel fatto che solo qualche mese più tardi ebbi la possibilità di vedere, praticamente ogni weekend, tutti quegli atleti, giocare nello stadio della mia città natale. Questo successe anche nel caso di Padova-Lazio del 15 aprile 1995, partita in cui, nelle file della squadra della capitale, giocavano tre ragazzi che avevano partecipato alla favolosa seppur sfortunata spedizione americana: Luca Marchegiani, Giuseppe Signori e Pierluigi Casiraghi. Nomi, i quali, solo a leggerli nel match program distribuito all’Euganeo, davano l’idea di quanto forte potesse essere la formazione delle Aquile.

Un'altra cosa di cui ancora non mi capacito è come sia stato possibile che, in quella stagione di serie A 1994/’95, quasi tutte le volte che il Padova affrontò i campioni, da me ammirati in televisione l’estate prima, vincesse. Accadde infatti contro il Milan di Albertini, Baresi, Costacurta, Donadoni, Maldini, Massaro e Tassotti; contro l’Inter di Berti e Pagliuca; contro la Juventus di Dino Baggio, Roberto Baggio e Conte e infine proprio con la sopracitata Lazio.

Quel sabato primaverile, gli uomini di Zdenek  Zeman si presentarono nella città del Santo un po’ acciaccati, e pur arrivando da tre risultati utili consecutivi in campionato non sembravano al top della condizione, e considerando che la settimana seguente avrebbero dovuto affrontare il sentitissimo derby cittadino con la Roma non era un buon segnale. Ricordo che il primo tempo lo fece sostanzialmente il Padova, con Filippo Maniero che al dodicesimo minuto venne anticipato in uscita proprio dal portiere della Nazionale Marchegiani; con Gabrieli che al venticinquesimo sparò alto il pallone da posizione molto favorevole e con il sinistro di Capitan Damiano Longhi al trentunesimo, il quale trovò preparatissimo il numero uno biancoceleste.

Se non fosse stato proprio per Marchegiani, il goal dell’uno a zero patavino sarebbe arrivato molto prima del quarantaduesimo minuto, momento in cui su una punizione battuta da Maniero, Roberto Cravero deviò la palla in rete spiazzando l’incolpevole estremo difensore laziale. Durante la prima frazione di gioco la Lazio ebbe comunque due buone occasioni per passare in vantaggio, con José Chamot al ventiquattresimo minuto e soprattutto con Paul Gascoigne, il quale si esibì in un  gran bel numero e imbeccò l’attaccante monzese Casiraghi su cui Bonaiuti però fu prontissimo a intervenire.

Il vero tracollo della squadra, che in quel sabato di aprile giocava in un atipico completo azzurro e blu, avvenne però nel secondo tempo. Arrancando e senza nessuna idea, il team del boemo Zeman si schiantò sul muro del Padova, continuando a soccombere sotto gli attacchi dei biancoscudati. Maniero ebbe la possibilità di raddoppiare, sia al sedicesimo quando mandò la palla di poco alta, che al ventiquattresimo quando solo davanti al portiere si fece parare la conclusione. A cinque minuti dal termine dell’incontro, il numero due David Balleri tentò un pallonetto da più di trenta metri che terminò fuori dallo specchio della porta laziale, ma ci fu comunque tempo per il colpo del knockout portato a segno dai ragazzi di Sandreani.

Allo scadere, il giovane olandese Michel Kreek allentò la tensione di tutti i tifosi patavini realizzando il due a zero con un tiro dal limite. Colpo secco col destro di contro balzo che fece esplodere tutta la goia di noi supporters sugli spalti. Il Mister Sandreani, poco dopo, in un’intervista a fine gara disse: “Partita perfetta. Il Padova non ha sbagliato niente contro una grande avversaria”

Nulla da aggiungere.

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