Amarcord

OLTRE i 90′ | La magia dei nomi sulle maglie

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A spasso tra i ricordi di un giovane tifoso degli anni ’90

Giacomo Stecca

Il campionato di calcio è cominciato da qualche mese ormai, ma a causa delle varie soste per le partite di qualificazione delle nazionali, non si sono giocate ancora moltissime gare, quindi, pur essendo novembre, possiamo dire di essere ancora all’inizio della stagione.

Una delle cose che mi è sempre piaciuta, proprio in relazione all’inizio dei campionati, è quella di leggere sulla Gazzetta dello Sport o su altri giornali sportivi i numeri di maglia che i giocatori si sono scelti per calcare i campi di gioco.Questa lista, la quale appare ogni anno verso i primi giorni di settembre, mi ha accompagnato da quando sono bambino, ma pur essendo qualcosa di scontata e che ormai è diventata quasi una consuetudine, c’è stato un tempo in cui non esisteva ancora.

Come dicevo qui sopra, i nomi che compaiono, al giorno d’oggi, sulle divise dei nostri amati giocatori e che sono diventati già parte integrante delle strategie di marketing di ogni squadra (dato che le lettere da aggiungere al numero del proprio campione preferito sono un aspetto fondamentale nella scelta della maglia da acquistare per un tifoso) non ci sono sempre stati. Vennerointrodotti nella nostra serie A durante la stagione 1995-1996 (la seconda che seguivo da tifoso), anche se il primo grande torneo in cui ebbi il piacere di vederli e nel quale i nomi sulle maglie si affacciarono come grande e sconvolgente novità fu il Mondiale di USA ’94, quello in cui tutti guardarono a quei nominativi appostisopra ai numeri con un po’ di sospetto non sapendo che da lì a poco sarebbero diventati la routine.

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Appena entrato, mi accorsi di una novità: dietro la cassa principale, proprio sopra ad una pressa a caldo, era appesa una maglia bianca e rossa, nuova fiammante, e nella sua parte posteriore vi era posto il numero 10 ed il nome del nostro capitanodi quel periodo, Damiano Longhi. Chiesi subito ad uno dei commessi se quella fosse una delle nuove divise che i giocatori del Padova avrebbero indossato già la domenica seguente per la prima di campionato, in casa contro il Milan, ed alla sua risposta affermativa domandai se fosse possibile acquistarne una.

“Certo bocia”, esclamò il commerciante, porgendomi al volo un foglio plastificato. Capii all’istante che si trattava di una sorta di elenco da cui poter scegliere il nome e il numero del calciatore di cui si voleva la casacca. Dopo la decisione, il commesso avrebbe personalizzato la maglia con l’ausilio della pressa. Mentre mia nonna si concedeva un giro per il negozio, avendo capito che ci avrei messo come minimo mezz’ora per decidere quale jersey prendere, mi misi a leggere quell’insieme di nomi e numeri con religiosa concentrazione.

L’occhio cadde subito sul numero 9 e sul numero 10. Rispettivamente di proprietà di Giuseppe Galderisi e di Damiano Longhi. Galderisi era in quel momento il giocatore più amato dai tifosi patavini, con ben sei campionati già disputati nella città del Santo mentre Damiano Longhi era, come accennato in precedenza, il capitano della compagine che affrontava la serie A per il secondo anno consecutivo.

Altri tre numeri che, a prima vista, mi solleticarono molto furono il 19 di Goran Vlaovic, attaccante croato andato a segno sei voltenella stagione 1994/1995, la 22 del pittoresco americano AlexiLalas e la 7 di Michael Kreek, fresco eroe dello spareggio di Firenze.

Oltre ai nomi di questi giocatori, i quali mi avevano fatto divertireallo stadio Euganeo durante i match dell’annata precedente, lessi quello nuovo di un certo Nicola Amoruso abbinato al numero 11 e quello del centrocampista Stefano Fiore con il 18. Si diceva potesso essere le future stelle del nostro calcio.

Nessuno degli atleti qua sopra nominati, però, mi convinse del tutto.

Continuai a scorrere la lista su e giù con lo sguardo per qualche minuto e poi, se non altro per evitare che mia nonna facesse il quarto giro del negozio, presi la mia decisione.

La scelta ricadde, alla fine dei giochi, sulla maglietta numero 3 di Franco Gabrieli. Il terzino sinistro romano, scuola Lazio, mi aveva fatto innamorare di lui quasi un anno prima con un goal da cineteca ai danni del Milan di Fabio Capello: il difensore aveva scoccato un tiro col destro (non il suo piede preferito) e avevabattuto quel mostro sacro di Sebastiano Rossi infilando la palla nell’angolino alto della porta.

Quella prodezza, abbinata al fatto che avessi già un debole per il numero che nel cattolicesimo rappresenta la trinità, mi fece optareproprio per la maglia di Gabrieli. Lo dissi al commesso e lui, in pochi secondi, si mise in moto, azionò la pressa a caldo e, davanti ai miei occhi curiosi, confezionò la divisa da gioco. La mia prima in assoluto con nome e numero combinati assieme.

Da quel giorno di fine estate a “NonSoloSport”, ne è trascorsomolto di tempo e il nome abbinato al numero è passato dall’essere una grossa novità, alla normalità assoluta.

Magari, in un prossimo scritto vi parlerò delle numerazioni più particolari che sono apparse sui campi di calcio in questi ultimi 26 anni. Cosa ne pensate?