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OLTRE i 90’ | Padova-Fiorentina in notturna: Batistuta e compagni soffrono ma vincono

OLTRE i 90’ | Padova-Fiorentina in notturna: Batistuta e compagni soffrono ma vincono

A spasso tra i ricordi di un giovane tifoso degli anni ’90

Giacomo Stecca

La prima volta in cui misi piede allo stadio Euganeo, in notturna, fu qualcosa di spettacolare. Di solito ero abituato a vedere l’impianto di Viale Nereo Rocco illuminato dalla luce del sole, invece quel 19 marzo del 1995 fui catapultato in una sorta di dimensione parallela. Tanto surreale quanto affascinante. Già prima del fischio iniziale dell’arbitro Alfredo Trentalange capii che quella tra Padova e Fiorentina non sarebbe stata una partita come le altre. Nelle gare viste fino a quel giorno le coreografie dei tifosi mi avevano sempre impressionato molto, non lo nego, ma mai così tanto come in quella serata quasi primaverile.

Salendo le scale di cemento che portavano dall’entrata dello stadioalla tribuna est, si sentivano già echeggiare dei cori e dei boati fragorosi che non mi sembrava di aver mai ascoltato prima di allora, neppure in occasione di big match come quelli contro l’Inter o contro il Napoli. Infatti, appena mi affacciai al campo rimasi di stucco. Più che nel mese di marzo pareva d’essere a settembre inoltrato tanta era la nebbia che avvolgeva il terreno di gioco. I fumogeni bianchi e rossi, lanciati dai tifosi patavini sulla pista da atletica, raggiunsero pian piano il rettangolo verde e per i primi cinque minuti del primo tempo non capii assolutamente nulla di quello che stava succedendo tra le due squadre.

La prima azione che ricordo in maniera nitida fu quella in cui il difensore scudato Franco Gabrieli crossò un buon pallone per Filippo Maniero, non trovando però la testa di Super Pippo, bensì le mani di Francesco Toldo, portiere della Fiorentina, nato proprio nella città del Santo. Mentre i tifosi padovani intonavano a squarciagola: “Alè, Padova Alè” la squadra di Mauro Sandreani continuava a far possesso palla e comandare il gioco come fosse lei la squadra da battere, non quella dei gigliati. La Fiorentina del giovane allenatore Claudio Ranieri, dal canto suo, sembrava a dir poco spaesata. La prima manovra davvero pericolosa della Viola arrivò alla mezz’ora. Un fallo al limite dell’area di Andrea Cuicchi sul lanciatissimo Gabriel Omar Batistuta causò una punizione che lo stesso numero nove argentino spedì di poco sul fondo, gelando per un momento tutto lo stadio Euganeo.

A memoria non mi sovviene nessun’altra azione degna di nota portata avanti dagli undici uomini capitanati da Francesco Baiano, anzi mi ricordo di aver pensato a voce alta: “Cavoli, mi immaginavo più forte questa Fiorentina”.

Verso la fine dei primi quarantacinque minuti il Padova ebbe un’occasione davvero ghiotta: punizione dalla sinistra di David Balleri, il croato Goran Vlaovic saltò da solo in aerea piccola per impattare la sfera di testa ma dosò male il colpo e purtroppo, anche se da distanza molto ravvicinata, spedì alto il pallone.

Un paio di errori da parte della nostra difesa, rischiarono di farci terminare immeritatamente il primo tempo sotto di una rete, ma ci assistette un pizzico di fortuna e al quarantasettesimo minuto Trentalange mandò tutti i giocatori negli spogliatoi a bere un thè caldo.

Mentre aspettavo con ansia l’inizio della seconda metà di garavidi, qualche seggiolino poco più in là del mio, una figura familiare. Era un signore piccolo e pelato. Mi sembrava di averlogià visto prima di allora, ma non ricordavo dove. Dopo un paio di minuti capii che si trattava del mitico Arrigo Sacchi, ex allenatore del Milan degli immortali e attuale Commissario Tecnico della Nazionale italiana, che solo una manciata di mesi prima era arrivata seconda ai mondiali statunitensi e della quale avevo seguito le gesta attaccato in modo maniacale allo schermo deltelevisore. Spinto da mio padre, mi feci coraggio e avvicinai il mister di Fusignano chiedendogli un autografo. Lui mi sorrise, mi strinse la mano e appose in modo garbato la sua firma sul programma del match, diventato per quell’occasione speciale una preziosa reliquia. Ero al settimo cielo. L’allenatore della squadravicecampione del mondo, che mi aveva fatto innamorare del calcio era a due passi dal sottoscritto, mi aveva salutato e mi aveva pure fatto l’autografo con dedica. Cosa desideravo di più dalla vita? In quel momento avevo persino dimenticato l’inizio del secondo tempo di Padova-Fiorentina. Il vociare sempre più rumoroso dei tifosi però me lo ricordò e un attimo dopo tornai sul pianeta terra, anche se un po’ distratto, a seguire le sorti dei biancoscudati.

Mi sono sempre vantato di avere una buona memoria calcistica e di ricordare partite e azioni di gioco avvenute anche molto tempo prima, tuttavia devo rassegnarmi a dire che non è decisamente questo il caso. Sarà stata l’emozione per aver visto uno dei migliori allenatori d’Europa, se non del Mondo, ma ricordo la seconda metà dell’incontro in maniera annebbiata, come se i fumogeni lanciati dai tifosi solo pochi minuti prima fossero entrati nel mio cervello e avessero offuscato tutti i miei pensieri.

Che poi, a parer mio, il bello del calcio è questo: far emozionare le persone fino a fare perdere loro ragione e razionalità.

Pur non ricordando azione per azione la seconda metà del match, rammento semplicemente che il Padova giocò meglio a pallone e, come nella prima frazione di gioco, la Fiorentina sembrò subire l’intraprendenza e l’organizzazione dei biancoscudati. L’unica differenza la fece, purtroppo, un errore difensivo di Alexi Lalas al sessantaquattresimo minuto. Il giocatore americano non controllò bene la sfera, la diede in malo modo a Gabrieli, il quale messo in difficoltà dallo yankee, la consegnò a Baiano. Il capitano viola sfoderò un tiro micidiale che trovò impreparato e leggermente fuori dai propri pali Adriano Bonaiuti. Il portiere del Padova sorpreso dal bolide dell’attaccante gigliato provò a respingere quel fendente insidioso e in parte ci riuscì, ma la palla arrivò sui piedi di un certo Manuel Rui Costa. Una sentenza. 1 a 0 per la Fiorentina. L’Euganeo piombò dentro a un silenzio irreale, considerato anche il rumore assordante udito fino a pochi attimi prima. Eravamo stati padroni del campo per due terzi di gara e bastò un’azione, per di più fortunosa, a farci soccombere. Il colpo fu durissimo. Gli undici uomini di Sandreani però non si demoralizzarono e ripartiti subito dal cerchio di centrocampo si misero a spingere come nulla fosse successo. Longhi e Maniero cominciarono a cercarsi più di frequente e questo portò il Padova a diversi tiri nello specchio della porta dei toscani. Nulla di pericoloso in realtà, ma pur sempre qualcosa.

Un’occasione pericolosa arrivò finalmente quando il difensore viola Stefano Pioli, che l’anno successivo avrebbe vestito la divisa biancoscudata, commise un fallo ingenuo vicino alla propria area di rigore. Il nostro capitano, Damiano Longhi si incaricò della punizione e fece partire un tiro potente e preciso che finì di pocofuori. Il movimento di palla e il fraseggio tra i nostri giocatori eradavvero buono e diede consapevolezza anche ai tifosi scudati che ritrovarono la voce e si rimisero a cantare a squarciagola comeavevano fatto prima del goal di Rui Costa. Purtroppo in quella domenica stregata tutta la buona volontà del mondo non sarebbebastata. Ricordo che a un certo punto Maniero fu atterrato in area di rigore in modo quantomeno dubbio ma l’arbitro fece proseguire senza ripensamenti.

La partita stava terminando e pure la benzina nel serbatoio dei giocatori in maglia e calzoncini bianchi.

Mister Sandreani tentò il tutto per tutto e, tolto Vlaovic, impegnatosi al massimo ma ormai spompato, inserì Giuseppe Galderisi, l’idolo dei tifosi, che accolsero l’ingresso in campo, prima scandendo il suo soprannome: Nanu, poi intonando un vero e proprio coro a lui dedicato: “Ed è la curva che te lo chiede… Galderisi facci un goal”.  Nonostante gli incitamenti degli ultras,l’attaccante, quel giorno con indosso la maglia numero 16, non riuscì a penetrare nella difesa dei toscani, che negli ultimissimi minuti si fecero molto pericolosi con un Batistuta sempre più indemoniato e immarcabile. Fortunatamente per noi a un certo punto l’argentino dovette uscire per stanchezza e fu in quel momento che i ragazzi con lo scudo sul petto tentarono l’arrembaggio finale.

Un’occasione irripetibile capitò quando Longhi dipinse una traiettoria magistrale per Maniero, il quale per un soffio non arrivò a schiacciare di testa il pallone in rete.

Fu l’ultimo acuto di un match che definire stregato mi pare riduttivo. Ricordo che mi alzai dal seggiolino triste, arrabbiato e deluso. Era la seconda sconfitta a cui assistevo dal vivo allo stadio, ma se nel caso dell’incontro Padova-Sampdoria l’1 a 4 finale era più che meritato, in questa occasione il risultato era assai bugiardo.

Il Padova aveva tenuto le redini del gioco per quasi tutta la partita, ma un’azione sfortunata unita all’indubbio talento di alcuni giocatori avversari, ci aveva fatto perdere punti preziosi per strada. In quella tarda serata domenicale, il cammino verso la permanenza in serie A mi sembrava molto in salita, ma riflettendoci bene, col senno di poi, avrei dovuto essere fiducioso. Se avessimo giocato così, come quella domenica, tutte le diecipartite che mancavano alla fine della stagione ci saremmo salvati senza nessun tipo di problema.