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OLTRE i 90’ | Padova-Roma del ’95, quando Mazzone e il giovane Totti vennero all’Euganeo

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A spasso tra i ricordi di un giovane tifoso degli anni ’90

Giacomo Stecca

30 Aprile del 1995. Il sottoscritto aveva compiuto la bellezza di nove anni da poco più di un mese e il Padova aveva battuto la Juventus al “Delle Alpi” (prima sconfitta dei Bianconeri in casa)solo qualche giorno addietro. Cosa volere di più da quel periodo della mia vita? Beh, vedere giocare uno dei futuri fuoriclasse del nostro calcio. Detto, fatto! In quel caldissimo pomeriggio primaverile, sarebbero arrivati a Padova i giallorossi della Roma, guidati dall’eccentrico Mister, Carlo Mazzone e aventi tra le loro file oltre a campioni del calibro di Aldair e Fonseca, una giovanissima promessa calcistica di diciotto anni, un certo Francesco Totti.

Come detto precedentemente faceva caldo, molto caldo per essere solo Aprile, ricordo benissimo di aver avuto addosso un pantaloncino corto e una maglia degli Houston Rockets (i quali con l’assenza del Dio del basket Michael Jordan stavano monopolizzando l’NBA) e che appena scesi la scalinata della tribuna est chiesi subito a mio padre di comprarmi una Coca Colaghiacciata. Mentre il genitore assecondava i miei desiderifanciulleschi le squadre scesero in campo. Il Padova fu accolto da una pioggia di applausi, dovuta all’incredibile prestazione sciorinata la settimana precedente contro la capolista, già sopra citata, guidata da Marcello Lippi.

A Torino, sotto una pioggia incessante, i Biancoscudati, vestiti con un atipico completo tutto rosso, sconfissero la squadra più forte del campionato, sino a quel momento, grazie a un goal su punizione dell’olandese Michael Kreek al trentaduesimo minuto del secondo tempo.Battere una formazione come quella, che poteva vantare tra le proprie file campioni come Baggio, Ravanelli e Del Piero fu di certo un iniezione di coraggio per gli uomini di Sandreani, i quali iniziarono la gara con la Roma in quinta marcia.

I quasi ventimila tifosi sugli spalti assistettero già al terzo minuto ad un’azione offensiva biancoscudata, confezionata da Giuseppe Galderisi, che con un lancio profondo in diagonale diede la possibilità al suo compagno, Filippo Maniero, di calciare in porta, ma il portiere della Lupa, Giovanni Cervone uscì in maniera perfetta. L’estremo difensore classe 1962 fu ineccepibile anche qualche minuto più tardi su un tiro-cross di Franco Gabrielifacendo capire ai padroni di casa che fare un colpaccio, come con la Juventus, sarebbe stata missione impossibile.

Ma il Padova non si fece intimorire dalla sicurezza del gigante di Brusciano e il solito Gabrieli crossò nuovamente verso il centro dell’area avversaria per “Nanu” Galderisi, il quale, come suggerisce il soprannome, non ha mai avuto tra i suoi pezzi forti il colpo di testa, e pur facendo il possibile spedì la sfera fuori di molto. Quello che invece ha sempre saputo fare bene “Nanu” era smarcare di prima i propri compagni e ne diede subito prova favorendo l’ingresso in area di Maniero che purtroppo ebbe un pessimo controllo della palla. La squadra col biancoscudo sul petto continuava a tenere il pallino del gioco e a vederla così aggressiva, mai ci si sarebbe potuto immaginare fosse una compagine che lottasse solo per la salvezza. Se devo dirla proprio tutta, in quella mia prima stagione da tifoso, tralasciando il tracollo con la Sampdoria, non vidi una partita all’Euganeo in cui il Padova sfigurò contro l’avversario. Col senno di poi, visto cosa mi sarebbe toccato vedere nelle stagioni seguenti, posso solo dire che i ragazzi di Stacchini e Sandreani mi abituarono troppo bene.

A metà del primo tempo la Roma si affacciò finalmente nella nostra metà campo e, grazie ad un rinvio sbagliato di Lalas, vidi per la prima volta in vita mia un passaggio millimetrico del futuro capitano giallorosso, Francesco Totti. Totti che in quella gara indossava il numero 11 imboccò il 10 di giornata, Massimiliano Cappioli, con un delicato colpo di testa che il centrocampista romano calciò alto sopra la traversa.Subito dopo, l’arbitro Livio Bazzoli fischiò una punizione per i giallorossi. Si prese la responsabilità di calciarla Francesco Statuto. Parabola splendida verso il centro dell’area patavina, per il fuoriclasse argentino Abel Balbo, che di testa, a distanza ravvicinata, spedì fuori il pallone.

Al trentaduesimo minuto accadde un episodio su cui la società di Via Sorio 43 ebbe parecchio da recriminare, soprattutto nel post-match: Lancio splendido del capitano Damiano Longhi per PippoManiero che superò in velocità la difesa romanista e tentò un pallonetto sull’uscita di Cervone. Maniero non riuscì a inquadrare perfettamente la porta, grazie anche all’uscita a valanga delportiere giallorosso, che dopo il tocco impreciso dell’attaccante di Legnaro, lo travolse impedendogli di raggiungere la sfera per l’eventuale correzione in rete. Nonostante l’infortunio di Maniero, costretto ad uscire dal campo Bazzoli valutò tutto come regolare e qualche istante dopo mandò tutti negli spogliatoi a bere una bevanda fresca, per prepararsi al secondo tempo. Un secondo tempo che non rivelò nulla di nuovo rispetto al primo. Ricordo solo una girata di Cappioli finita alta e un tiro di Balbo dopo un bellissimo scambio a centrocampo con Totti. L'incontro finì 0-0.

Vorrei finire parlando proprio di lui, il (non ancora) Pupone. Mi ero accorto in quella gara che sarebbe potuto diventare il simbolo che poi è stato per tutto il movimento del calcio italiano? Onestamente no, ma di sicuro in quel pomeriggio allo stadio Euganeo fece vedere dei numeri interessanti per essere solo un ragazzo di diciotto/diciannove anni. Inutile dire che il merito di averlo scoperto e di aver visto in lui, prima di tutti gli altri, delle qualità straordinarie fu di un certo Carlo Mazzone, il Mister più amato dagli italiani, che quel giorno a Padova osservai divertito, mentre si dimenava come un pazzo in panchina e a bordocampo con addosso un giubbotto di almeno una taglia più grande della sua. Il Sor Carletto, un paio d’anni prima, notò questo giovane ragazzino di cui nessuno dei suoi collaboratori sapeva il nome, durante una partita tra la prima squadra della Roma e la Primavera. Rimase come folgorato, perché Totti, pur se giovaneera già più forte di molti suoi giocatori. Chiamò il suo vice Menechini e gli chiese di portargli subito lì ‘er ragazzino’ per poterci parlare. Poco dopo i due furono faccia a faccia e il loro primo scambio di battute fu il seguente:

- “Come te chiami ragazzì?”

- “Mi chiamo Francesco, Mister…”

- “Ciao Francesco, fino a sabato stai con noi, ma mi hanno detto che vai in motorino, lascialo sta ‘sto motorino che bene che te va te piji la bronchite e me saltano i piani…”

Il resto è Storia.

 

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