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PADOVA GOURMET | La nostra recensione del Ristorante Opificio

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Alla scoperta dei ristoranti più interessanti del Veneto, da leggere rigorosamente a stomaco vuoto
Giacomo Stecca
Giacomo Stecca Redattore 

Quando ero bambino, la squadra di calcio della mia città, il Padova, militava straordinariamente in serie A e aveva abituato i propri tifosi a una consuetudine molto particolare: ogni settimana, di mercoledì, gli undici giocatori biancoscudati disputavano un’amichevole contro una delle rappresentative della provincia, come allenamento in vista della partita domenicale di campionato. La prima volta che vidi in azione gli uomini dell’allora Mister Sandreani fu, grazie a questa iniziativa, in uno dei campi del centro sportivo di Noventa Padovana.

Oggi, quel centro è utilizzato proprio dal “Calcio Padova” per gli allenamenti dei ragazzi delle giovanili e nei portici che lo circondano (e che nel lontano 1995 erano appena stati costruiti)sono ospitate varie attività commerciali, tra le quali spicca, in via Roma 131, il ristorante di cui vi voglio parlare: “L’Opificio”.


Decido di andarci in un’afosa serata d’inizio estate. Nonostante lo spazio esterno sotto una piccola tettoia sia accogliente e ormai all’ombra, fa davvero troppo caldo, quindi chiedo se sia possibile accomodarsi all’interno. La risposta è positiva e pochi secondi dopo sono seduto al fresco, in una sala ampia (con tavoli ben distanziati) e molto curata che a prima vista ricorda gli ambienti di un loft newyorchese.

L’accoglienza iniziale è perfetta e aiuta a creare, unitamente alleluci soffuse, un clima confidenziale e familiare. Mattia è un ottimo padrone di casa e, poco prima che uno dei suoi collaboratori mi consegni il menù, lui mi ha già porto un tablet contenente la Carta dei Vini e dei Cocktails in modo da poter offrirmi subito qualcosadi dissetante. Opto per un “Basil Smash”, una bevanda a base di gin arricchita dalla delicatezza rinfrescante del basilico e da quella scintilla di brillantezza che viene donata da un goccio di succo di limone.

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Mentre sorseggio il drink, alternativa stuzzicante rispetto alla classica bollicina, e sfoglio il menù, mi viene portato un tagliere con formaggi, affettati e salumi, tra i quali spicca il “Salame di Wagyu”: una prelibatezza assoluta. Dopo aver assaggiato questo particolare manzo giapponese, decido di continuare la cena mangiando carne e ordino come antipasto il “Foie Gras di Primavera”, scoprendo, dai ragazzi in sala, di aver sfiorato per un solo giorno, il nuovo menù in versione estiva. Non faccio a tempo a rammaricarmi dell’accaduto che immediatamente mi ritrovo sotto al naso delle piccole sfere di foie gras accompagnate da rabarbaro in due consistenze, un gel ai lamponi, un gel al Vermouth e brioche di pane sfogliato alle spezie.

L’unica nota negativa di questa leccornia potrei individuarla nellasua breve vita. Per il resto il piatto incontra totalmente i miei gusti e ne ordinerei un'altra porzione seduta stante, se non avessi già messo gli occhi su un primo molto particolare: “Ravioli del Plinall’astice e due manzi in Spring”.

Durante l’attesa mi guardo un po’ intorno e noto come l’ambiente sia realizzato in stili diversi, unendo contemporaneamente quello raffinato a quello urbano.

Con il termine opificio, di solito, s’intende una fabbrica o uno stabilimento industriale all’interno dei quali avviene la trasformazione di una materia prima in un prodotto finito. Equesto è quello che sembra, a un primo sguardo, “L’Opificio”: un luogo di lavoro dove si svolge un’attività industriale, invece è uno spazio creativo dove si possono assaporare cibi di qualità e sperimentare abbinamenti particolari. Ed è proprio il caso dei ravioli che mi vengono serviti come portata principale. La pasta all’uovo fatta in casa è riempita con dell’astice al sapore di Wagyued è cosparsa da una salsa Jus di manzo e da una bisque di crostacei. Nella parte superiore si trova un cipollotto, sottofesa di manzo stagionata e affumicata, zeste di lime. Devo dire che l’azzardo “carne-pesce” (inaspettatamente) paga ed il piatto risulta essere, grazie al sapiente dosaggio tra ingredienti di terra e di mare, una piacevole sorpresa .

Per il secondo, scelgo di ritornare su una pietanza più classica: “Tartare di manzo in osso”, pescandola dalla sezione degli antipasti.

Finché aspetto la battuta, parlo un po’ con il padrone di casa che mi racconta qualcosa in più della sua “creatura”. Così in qualche minuto scopro come l’avventura di Mattia, in questo posto, sia iniziata quasi dieci anni fa, ben prima che il locale prendesse il nome di “Opificio”. Mattia, infatti, ha rilevato nel 2013 quello che era stato uno dei primi pub irlandesi della provincia padovana e l’ha gestito fino a gennaio del 2019 con l’appelativo di “100trent’1”. Lo storico irish pub era famoso per le birreartigianali provenienti da tutto il mondo, per la Guinness e per la carne contenuta negli ottimi panini che sono poi rimasti nel menùpersino con la trasformazione del pub in ristorante gourmet, avvenuta a marzo del 2019. La carne è una vera e propria passione per il ristoratore di Noventa, ciò lo si evince chiaramente dallo spazio che le è concesso in carta (“Le selezioni di carni di Mattia”) e dal pregio dei tagli. Ne ho ulteriore conferma, pochiattimi dopo, con l’arrivo in tavola della tartare. Il piatto mi colpisce, oltre per la qualità della materia prima, anche per la composizione. Lo Chef Daniele Groppo decide di servireinusualmente il manzo crudo sopra il proprio osso. Lo adagia su di esso ornandolo con crostone di pane, capperi, olive taggiasche, burro montato, senape in grani e maionese alla Worchestershire. L’effetto finale è davvero un bel colpo d’occhio.

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Nonostante la porzione della bistecca alla tartara fosse generosa, mi è rimasta ancora un po’ di fame e decido di placarla, concludendo degnamente il pasto con un dolce. Sfogliando la carta dei dessert mi incuriosiscono due golosità in particolare: il “Salame del Re” e il “Velluto di latte, fragole e zenzero”. Viro sulla seconda, attirato dalla mia predilezione per quella pianta erbacea che in antichità veniva chiamata gengiovo.  Arriva al tavolo un cremoso di latte alla vaniglia accompagnato da una salsa di fragole, “terra” all’olio extravergine d’oliva, una cialda croccante e un gelato al limone e allo zenzero.  La crema ègradevole e molto delicata. L’accostamento con il gelato le conferisce una marcia in più, il che non guasta. Quest’ultima portata è la giusta conclusione per quella che è stata una cena ideale.

“L’Opificio” è un ambiente intimo e rilassante. Il personale di sala è professionale e sa mettere a proprio agio gli avventori, anche lasciandosi andare a simpatiche e cordiali confidenze che rendono il clima disteso. Mattia ha formato egregiamente il proprio team, che si destreggia alla perfezione nella spiegazione del menù dei cibi e della carta dei vini/cocktails. La cucina proposta dallo ChefGroppo è autentica, mai adulatrice. Fatta di materie prime eccelse, colori e profumi che si alternano, nel miglior modo possibile, per andare a comporre piatti unici e a volte audaci. Sono sinceramente curioso di vedere il lavoro svolto sul menù estivo, quindi credo che tornerò in questo ristorante davvero molto presto.

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