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Arbitri, la solita litania: sono scarsi. Ma la squadra si è svegliata tardi

L’editoriale de Il Mattino a cura di Stefano Edel Prima il Cittadella, adesso il Pordenone. Il Padova è caduto contro le prime due della classe (almeno sino ad oggi pomeriggio, quando conosceremo il risultato del Bassano a Mantova) e questo...

Tommaso Rocca

L'editoriale de Il Mattino a cura di Stefano Edel

Prima il Cittadella, adesso il Pordenone. Il Padova è caduto contro le prime due della classe (almeno sino ad oggi pomeriggio, quando conosceremo il risultato del Bassano a Mantova) e questo significa pur sempre qualcosa. Ma non è andato al tappeto in modo netto, ineccepibile, come se la superiorità degli avversari, in entrambe le partite, fosse stata schiacciante. Eppure c’è un filo comune che accomuna il k.o. subìto dai “cugini” nel derby a quello patito ieri dai “ramarri” friulani: le pessime direzioni arbitrali nei due match. E qui verrebbe facile aprire un capitolo a parte nei confronti di chi viene chiamato a dirigere partite di tale livello e si dimostra, alla fine, il peggiore in campo. Mainardi di Bergamo (contro i granata) e Fourneau di Roma (contro i neroverdi): ricordateveli bene questi nomi, perché siamo curiosi di capire se, da quanto si sussurra nelle stanze dell’Aia, li troveremo l’anno prossimo sui campi della Serie B. Se così fosse, ci sarebbe da chiedersi se a certi livelli capiscono di calcio oppure se vigono, per stabilire le varie promozioni di categoria, criteri che sfuggono all’umana comprensione. Tanto più quando non si conoscono mai (ma proprio mai) i rapporti stilati dai commissari in tribuna, che poi riferiscono al designatore, che per la Lega Pro è il signor Giannoccaro di Lecce. A noi preme ribadire un paio di punti, sui quali non si può più far finta di niente: 1) un arbitro deve correre ed essere vicino all’azione, non, come si è visto in questa circostanza, a 30-40 metri dal punto in cui si gioca il pallone; 2) gli assistenti vanno istruiti e testati di più sulle situazioni di fuorigioco con prove ripetute ai raduni organizzati nelle varie Coverciano o Sportilia. Ci sembra chiaro che il loro grado di preparazione lasci assai a desiderare. Domanda: siete convinti che ci sia trasparenza nella casa arbitrale, nel senso di rendere pubbliche le valutazioni di chi giudica il loro operato? Risposta: ma non scherziamo, per favore, il giorno in cui ciò dovessere accadere, ci troveremmo davvero davanti alla vera“rivoluzione” del calcio professionistico. Della serie: aspetta e spera… Esaurito il capitolo arbitri, torniamo al Padova e a ciò che non ha funzionato. Intanto, l’approccio alla sfida: a parte il gol-choc di Pederzoli, la squadra non è parsa brillante e compatta nel primo tempo come in passato. Da cosa sia dipeso, è compito che spetterà a Pillon e ai giocatori: l’impressione è che, oltre all’indiscutibile qualità dell’avversario, soprattutto il centrocampo non sia stato capace di alzare i ritmi, trovando pochi canali utili per arrivare nelle vicinanze della porta difesa da Tomei. Il 4-4-2 ha bisogno, per essere dirompente, di incursioni sulle fasce laterali e di sovrapposizioni da parte dei terzini. Queste ci sono state, ma in misura inferiore al solito. Prendete, ad esempio, l’azione del 2-1 di Altinier: concepita e concretizzata grazie ad un affondo di Neto Pereira sin quasi sulla linea di fondo e ad un cross al bacio per il centravanti, che non perdona quando riceve l’assist giusto. In conclusione: un passo indietro a livello di prestazione. Come se ci si fosse svegliati tardi, una volta incassati i due pugni da ko. Per il futuro sarà utile evitare di ricadere nello stesso errore. Ma è anche vero che solo sbagliando si cresce. E il Padova può dire ancora la sua, lì sopra, sino a maggio.

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