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Padova, è tempo di bilanci: annata “gaussiana”, colpe da dividere, ma non tutto è da buttare

Spiazzante e inattesa, la parola “fine” è improvvisamente piombata sulla stagione del Padova in un caldo pomeriggio di metà maggio. Game over già al primo turno dei playoff. Nessuna attenuante. E ora il tempo delle speranze lascia...

Alessandro Vinci

Spiazzante e inattesa, la parola “fine” è improvvisamente piombata sulla stagione del Padova in un caldo pomeriggio di metà maggio. Game over già al primo turno dei playoff. Nessuna attenuante. E ora il tempo delle speranze lascia inevitabilmente spazio a quello dei bilanci. Comprendere ciò che non ha funzionato è sempre il primo passo per rilanciarsi verso il futuro.

Innanzitutto Gauss si compiacerebbe dell’annata biancoscudata: male l’inizio, bene la parte centrale, malissimo il finale. A fare da spartiacque tra queste tre fasi, la gara interna con la Reggiana e quella sul campo della Feralpisalò, rispettivamente disputatesi alla nona e alla trentaduesima giornata. Ergo, il Padova è stato in crisi, in due distinti periodi, per quindici partite complessive. Troppe.

Paragoniamo la Lega Pro a una maratona: se la si inizia male, non riuscendo a spezzare il fiato, occorre poi triplicare gli sforzi per riguadagnare la testa della corsa. Se però al comando i ritmi si rivelano insostenibili, ecco che mente e gambe finiscono per alzare bandiera bianca, trascinandosi stancamente verso il traguardo. Così, dovendo immediatamente affrontare una nuova corsa, ossia i playoff, è naturale che alla fine risulti più fresca una formazione come l’Albinoleffe, autrice di un torneo sereno e regolare (che poi la nuova formula degli spareggi non sia meritocratica è palese).

Padova dunque sull’altalena sin dagli esordi di settembre, tuttavia una costante c’è stata: l’affanno. Affanno di invertire la tendenza dopo i primi risultati negativi; affanno di tornare a lottare per un irraggiungibile primo posto; affanno di cercare sul fondo del barile le ultime stille di energia per chiudere l’anno nella maniera più dignitosa possibile.

Lo scenario finale è insomma quello di una stagione nata storta già in partenza, a diretta conseguenza della rivoluzione estiva griffata Giorgio Zamuner. Se non utopistico, sarebbe stato poco verosimile pretendere un Padova rodato e vivace sin dalle prime uscite, visti i tanti volti nuovi presenti non solo in campo ma anche in panchina. E qui si arriva alla mancata riconferma di Bepi Pillon, al quale il dg ex Pordenone aveva comunque offerto un contratto (volutamente o forzatamente?) inadeguato. Sacrificato il tecnico di Preganziol sull’altare della più volte sbandierata «sintonia tra tutte le componenti», il timone è stato dunque affidato a Oscar Brevi. Il problema è che l’ex capitano del Torino non si è rivelato all’altezza della situazione. Mancando la materia prima, facile capire come la sintonia serva a ben poco.

Col senno di poi, come amaramente evidenziato dai tifosi in queste ore, la soluzione migliore sarebbe quindi stata l’esonero del tecnico biancoscudato. Allo stesso tempo ci si deve però anche domandare: quando sarebbe dovuto avvenire questo ribaltone? Dopo San Benedetto? Dopo Bolzano? Nel primo caso i successivi risultati hanno dato ragione a Zamuner, che aveva spinto per la riconferma, con la squadra poi capace di macinare punti e posizioni fino a inizio aprile. Nel secondo invece, vista la carente condizione psicofisica di Altinier e compagni, l’operazione avrebbe probabilmente rappresentato un autentico salto nel buio utile solamente a mettere a libro paga un secondo allenatore fino al termine della stagione sportiva. Ad ogni modo, non essendoci controprove, questi sono tutti discorsi che lasciano il tempo che trovano.

La realtà è che il definitivo patatrac si è paradossalmente verificato nel momento migliore del campionato, quando Brevi ha ritenuto di poter operare una fantascientifica rimonta ai danni del Venezia. La scelta di non puntare con decisione sulla Coppa Italia – che avrebbe eventualmente garantito il secondo turno dei playoff già il 26 aprile – va proprio letta in quest’ottica. Così il Padova si è trovato con un pugno di mosche in mano. Chi troppo vuole nulla stringe.

Non approfondendo in questa sede le evidenti lacune presenti nella rosa e le altre concause del tracollo biancoscudato, di positivo c’è comunque che si sia portata avanti una linea precisa proprio quando sarebbe stato facile perdere la bussola. Si è intravista la volontà di credere, quantomeno fino al termine della stagione, nell’abbozzo di un progetto. Perché il primo errore è stato commesso a monte, non durante il campionato: sono stati i punti iniziali a fare la differenza. Al di là dell’ancor viva delusione per l’epilogo finale, è infatti innegabile che quest’anno le componenti della società abbiano tutte avuto piena consapevolezza dei confini dei propri ambiti di competenza. Summit e confronti più o meno cruciali ci sono sempre stati, specie in merito alle sorti di Brevi, ma senza mai perentorie ingerenze reciproche. E questo è indice di serietà, organizzazione e idee chiare. Elementi che non garantiscono i successi finali, ma ne rappresentano indubbiamente un ottimo punto di partenza.

In definitiva, non sarà certo un’annata sfortunata a compromettere il futuro del Calcio Padova. Facendo tesoro degli errori commessi, speriamo esso possa riservarci nuove soddisfazioni.