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EDITORIALE | Differenze di genere nello sport, quanta strada ancora da fare!

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Il sistema mediatico è il primo responsabile. E la rivoluzione può partire dalle parole (anche dalla grammatica)

Stefano Viafora

La premiazione della quarta edizione del Best Under 20 Antenore Energia, ci ha dato ieri l'occasione, durante la puntata, di tornare a parlare di differenze di genere nello sport, un tema molto caro a questa testata.

Sport femminile e sport maschile, quanta strada ancora per la parità

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Quanta strada ancora verso la parità di genere. E lo sport non è settore che sfugge a questa dinamica. Il primo passo per il cambiamento, solitamente, parte dalla consapevolezza dell’esistenza di un problema. E anche qui, siamo un po’ indietro. È preoccupante che in molte circostanze siano le stesse donne a non accorgersene e ad assumere comportamenti, di fatto, maschilisti. Cominciamo dal cuore del problema.

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Un ruolo fondamentale lo svolge il sistema mediatico nel plasmare atteggiamenti e valori nei confronti degli sport femminili. E sappiamo come oggi le atlete abbiano ancora una copertura mediatica significativamente inferiore rispetto ai colleghi maschi. Il Mere Exposure Effèct è un fenomeno studiato e ormai assodato secondo cui più un individuo è esposto a uno stimolo e più lo percepisce favorevolmente. Vorrei citare a tal proposito l'ottimo lavoro, che ha già fatto scuola, di Travis Scheadler e Audrey Wagstaff, in cui si dimostra come molte atlete sono accettate dalla società e ricevono una copertura mediatica solo se partecipano a sport tradizionalmente femminili (pallavolo, ginnastica, nuoto...). Decidendo (i media) di fatto quali sport vadano considerati maschili e quali femminili. E anche qui entra in gioco un'altra teoria, quella dell'Agenda Setting (Maxwell McCombs e Donald Shaw), strettamente collegata al Mere Exposure Effèct. In sostanza, i media modellano la realtà sociale. Sono (facilmente, più di quello che si crede) in grado di strutturare i nostri pensieri e di portarci a un mutamento cognitivo. Succede anche per lo sport. Ma perchè il rugby dev'essere considerato poco femminile? Perchè è uno sport di contatto? Quindi tra donne il contatto sarebbe sconveniente? Oltretutto se una donna decide di partecipare a uno sport maschile, la sua sessualità viene ancora oggi messa in discussione, diviene motivo di dibattito pubblico (vedi il caso Egonu), quando non dovrebbe essere minimamente rilevante. I media tendono a ignorare i risultati atletici delle donne concentrandosi sul loro aspetto fisico, sulle vite private, sulla femminilità e sulla sessualità, anche se raggiungono imprese sportive più rilevanti rispetto a quelle maschili.

Di conseguenza il gesto atletico viene magari frainteso (vedi caso Linda Cerruti e foto in posa con medaglie o caso Tayla Harris). Non solo la stampa spesso scivola su titoli e descrizioni che mostrano un’attenzione indebita e sessualmente connotata ai corpi delle atlete (vedi la becera rappresentazione di Agata Centasso sul sito Dagospia), ma capita anche che società sportive stessi cavalchino questi stereotipi, marcando il genere femminile più che l’impresa sportiva (forse ricorderete il caso delle giovani raccattapalle dell'Anthea Volley vestite in modo indegno). La stampa sportiva ha una grande responsabilità nella rappresentazione dello sport femminile. Che le parole siano importanti per cominciare una rivoluzione culturale, lo dimostra in negativo anche l’utilizzo del termine “arbitra" per denominare correttamente (secondo la grammatica italiana) le prime figure femminili che si affacciano al grande calcio. C’è chi rifiuta addirittura il termine per mantenere la declinazione al maschile. Quanta strada abbiamo ancora davanti, se addirittura andiamo contro la grammatica pur di continuare ad alimentare il maschiocentrismo.